Musica e Parole per essere Quasi Felice | Intervista a Sara Lotta

Quasi felice è il titolo del primo libro di Sara Lotta, pubblicato a Maggio 2018 da Scatole Parlanti. Un romanzo breve, scritto sotto forma di racconto epistolare, che mette in risalto le relazioni umane e la profonda incomunicabilità che le accomuna. Sara vive Napoli, si è laureata due volte (Lettere Moderne e Lingue e Comunicazione) e lavora come speaker radiofonica, insegnante di danza aerea e animatrice sociale. Qualche giorno fa ci siamo sentiti per parlare di Quasi  Felice ed approfondire alcuni argomenti presenti nel libro che mi hanno particolarmente affascinato. 

Sara Lotta - Quasi Felice

 

Ciao Sara, oggi parliamo un po’ di te e del tuo libro uscito lo scorso Maggio. Sei pronta?

Sì, più o meno, è sempre difficile parlare realmente di cose o persone che si hanno a cuore, ma cominciamo. Spara!

Quasi Felice si apre con i ringraziamenti ai tuoi genitori, che ti hanno lasciato essere ciò che volevi. Genitori che invecchiano ma conservano sempre viva una preoccupazione nei confronti dei figli, anche quando questi sono adulti ed inseriti in società. Chi è Sara Lotta oggi, cosa voleva essere e cosa cambierebbe?

Ecco appunto. Domanda complessa, a cui ti rispondo ricorrendo ad una scorciatoia: sicuramente so dirti chi non è Sara Lotta. Cosa non voleva diventare. Non volevo essere una donna insoddisfatta e ingabbiata; non volevo fare lavori che non amavo, non volevo avere nella mia vita persona superflue. Da ragazzina non volevo diventare nessuno; mi bastava correre nei campi (sono cresciuta in campagna!), studiare, fare sport e poco altro. Devo molto a mio padre e mia madre: su tutto la possibilità di avermi fatto studiare, un privilegio che non ho mai dato per scontato e che mi permesso di guardare il mondo con occhi diversi.

Cosa cambierei? Il liceo! Avrei fatto il classico in luogo dello scientifico, anche se devo ammettere che la matematica mi serve per la divisione delle spese in casa (divisione, addizione e poco altro sono le uniche cose che non ho rimosso: per intenderci… non mostratemi un’equazione perché potrebbe venirmi un infarto!). Per il resto non ho mai dato molte preoccupazioni ai miei, le ho sempre tenute per me, mi sembra una scelta giusta per alleggerire il loro carico.

Se ci soffermiamo sul titolo è facile immaginare che nella vita, a volte, si può essere felici pur non essendolo del tutto. Ma la ricerca della felicità è un cammino che va affrontato in ogni caso o può essere evitato?

La felicità non è un cammino, né un tesoro nascosto da cercare. Qualcuno molto nobile di me diceva che la felicità è fatta di attimi di dimenticanza: è chiaro come il mondo sia davvero un posto orribile in cui stare. Basta fermarsi un attimo ad osservarlo per avere voglia di vomitare dinanzi alle diseguaglianze sociali, le violenze fisiche e psichiche, le perdite, le frustrazioni, le convinzioni e le mediocrità.

Però bisogna imparare a dimenticare tutto questo, almeno qualche volta. Occorre fermarsi ad osservare altro, che pure esiste ed è l’essenza del mondo: le persone che amiamo, il loro modo di riempirci la vita; le persone che non amiamo e non conosciamo: il loro modo di camminare, stare nei mezzi pubblici, ringraziarci per avergli aperto la porta, sorridere per esserci seduti accanto a loro; le cause che abbiamo deciso di abbracciare, che sono diventate la nostra vita e ci fanno addormentare contenti la notte; le passioni che ci ricordano ogni giorno chi siamo.

Un romanzo epistolare, una forma particolare di raccontare una storia e di raccontarsi. Le nostre vite scorrono talmente veloci che a volte dimentichiamo di comunicare come ci sentiamo anche alle persone più care. Una lettera, però, può essere un rifugio per affrontare “silenzi naturali”, imposti dal carattere, dalla riservatezza o dalla paura di rivelare determinati episodi. Da cosa deriva la tua scelta?

Sono una grande appassionata di romanzi epistolari. Sicuramente senza Kafka, Grossman, Berger, Simenon e tanti altri, non sarei mai giunta alla consapevolezza che una lettera è la forma più intima e privata di raccontarsi.

Invidio molto i personaggi del mio libro: io non riuscirei mai a scrivere così a cuore aperto alle persone che amo, o che odio. Forse scrivere queste lettere è stato un modo di aprire cassetti remoti. Ho messo alla prova me stessa, ho cercato di dare voce alle mie fragilità, ai sentimenti e alle riflessioni più sciocche. Quando si scrive una lettera si è sempre soli con se stessi: va da sé che mettere nero su bianco è un modo di parlare a se stessi prima che agli altri e che bisogna farlo nella maniera più onesta possibile.

In ogni caso, tornando alla tua domanda… credo che raramente nella vita di tutti i giorni si comunichi realmente: tutti troppo proiettati su se stessi, poco ascolto, poca voglia di andare oltre, poca voglia di mettersi da parte e dare spazio a chi ha qualcosa più interessante da raccontare.

Quanto c’è di autobiografico nelle storie dei personaggi?

Tutto. Ma un tutto non relativo alle vicende narrate che sono chiaramente inventate. Un tutto inteso come modalità e approccio alla vita, alle persone, alle relazioni: sono una grande osservatrice delle relazioni e dei comportamenti umani, credo che siano una delle cose più interessanti in assoluto. I miei personaggi sono persone vere; in questi mesi ho incontrato vari lettori che si sono riconosciuti in Emma, il personaggio principale, nonché protagonista del mio cuore. Ecco, Emma potrebbe essere ogni donna, ed ogni donna in fondo è un po’ Emma.

Ad Emma ho dato sicuramente qualcuna delle mie paure e il tic alla palpebra sinistra che mi viene quando sono in ansia. Insomma, non ho inventato nulla, ho visto e sentito tutto per poi rielaborare, dare forma alle storie ed ai caratteri.

Sara Lotta

In che modo ci si approccia a “Quasi Felice”?

Con clemenza: i miei personaggi sono fragili, ma anche forti, non hanno bisogno di essere giudicati, conoscono i loro limiti ed hanno già scontato le pene di essere imperfetti. In altre parole bisognerebbe leggere “Quasi felice” alla stessa maniera in cui si dovrebbe venire in contatto con una persona che incontriamo per la prima volta, di cui non sappiamo ancora nulla e che subito dopo si rivelerà profondamente diversa da noi: a meno che non sia salviniana, neofascista e recidiva al male, bisognerebbe accoglierla senza pregiudizio.

Un paio di settimane fa Federico Fiumani ha lanciato una bomba sul mondo della Musica e dell’editoria. Una presa di posizione netta e decisa contro chi, a parere dell’artista, sfrutta la propria posizione per ottenere concessioni di natura sessuale.

Una notizia davvero raccapricciante. Cosa ne pensi al riguardo?

Federico Fiumani è forte: ho avuto il piacere di ascoltarlo live qualche anno fa e sicuramente non è uno che le manda a dire. Sono dalla sua parte anche se la cosa triste è che al momento nessuna denuncia reale o dichiarazione è stata sporta dalle donne vittime di presunte richieste sessuali da parte dell’editore/ organizzatore di eventi a cui Fiumani fa – più o meno implicitamente – riferimento. Questo vuol dire che, in termini di emancipazione sociale, noi donne abbiamo ancora molta strada da fare.

Oltretutto – e qui la considerazione si fa più amara, ma onesta – talvolta il problema delle donne sono le donne stesse: ho pubblicato un libro che non avrei mai pubblicato se mi avessero chiesto in cambio delle prestazioni sessuali. Pubblicare un libro non è una cosa obbligatoria, non è una questione di vita o di morte: se nessun editore decide di investire sul tuo scritto, vorrà dire che ne farai copie cartacee e le distribuirai al mondo.

A domanda risposta: se sono una persona di senso e soprattutto di valore non ho bisogno che qualcuno mi dica che non è normale questo tipo di scambio, accettarlo mi rende complice dello squallore.

In effetti non è semplice. Quasi Felice è il tuo primo romanzo ed è stato pubblicato da Scatole Parlanti. Come vi siete incontrati e quanto è difficile trovare oggi un editore disposto a pubblicare il proprio lavoro?

Ho contattato tramite email il gruppo Alter Ego di cui Scatole Parlanti fa parte. Non conoscevo questa realtà prima che me ne parlasse il mio compagno Luigi e che mi invitasse caldamente a contattarli. Per la verità, ho scritto al gruppo Alter Ego più per non sentire Luigi nelle orecchie che per reale convinzione: avevo scritto a tantissime case editrici nei mesi precedenti, ma nessuna (tranne una che mi aveva chiesto un “contributo economico” per la pubblicazione) mi aveva risposto.

Confesso che cominciavo a pensare che lo scritto non fosse valido e a voler abbandonare l’idea di pubblicarlo. Ad ogni modo, dopo due settimane dall’invio, sono stata contattata dal responsabile di Scatole Parlanti che mi diceva che avevano intenzione di pubblicare “Quasi felice” perché aderente alla loro linea editoriale. Subito dopo ho chiamato Luigi perché credevo li avesse pagati per farmi pubblicare il libro. Non era così, ovviamente; avevano scelto “Quasi felice” perché gli ero piaciuto.

È molto difficile trovare un editore disposto gratuitamente a pubblicarti come è stato nel mio caso, ma credo anche che occorra fare scelte oculate in merito alle case editrici a cui proporsi, inviare correttamente il materiale e soprattutto non demordere: quando qualcosa ha un valore, prima o poi qualcuno se ne accorge. Su questo non ho dubbi.

Con un‘altra donna i dischi di Miles Davis non suonano più allo stesso modo”. Ci sono riferimenti letterari e musicali nel libro, alcuni palesi altri impliciti. Vogliamo raccontare ai lettori qualche dettaglio in più?

La mia vita è fatta di musica e parole: sono una speaker radiofonica, ascolto musica per sei ore di fila al giorno, e nelle restanti ho comunque sempre la radio accesa, tranne quando la stacco per dedicarmi ad ascolti più personali tramite internet. Poi ci sono le parole: cerco di leggere più libri possibili nonostante il tempo a disposizione sia poco. Ho sempre un libro con me in qualunque posto vada, anche solo per cinque minuti: è il mio amuleto, mi serve per non sentirmi mai sola.

Con queste premesse viene facile dirti che non c’è molto a cui io pensi che non trovi naturale collegamento nel mondo della musica e dei libri. Appartengo forse a quella generazione che collega ad ogni stato d’animo o sentimento una canzone, che ricorda le persone per una frase, che le cancella per un silenzio. Anche il silenzio è una forma di comunicazione, tra le più importanti direi.

Le parole possono essere dette, scritte o immagazzinate nella mente e tenute segrete. Nel tuo percorso, di vita e professionale, è evidente che hanno un’incidenza determinante. Ti va di raccontaci in che rapporti siete?

Odi et amo. Le parole sono tutto per me, ma il nostro rapporto è una guerra continua. Crescendo mi sono ripromessa di buttarne qualcuna in più fuori, di quelle belle, e di tenere dentro quelle brutte. Un modo per proteggere le persone a cui tengo. È chiaro per che a furia di evitare le parole brutte per gli altri, tendo spesso a tenere per me anche quelle belle. È molto difficile dare voce ai sentimenti, non chiedermi come si fa: ci sono voluti anni per dire ai miei genitori che gli voglio bene. Ho lasciato andare varie persone della mia vita perché non ho avuto la forza di dare voce ai pensieri: ad oggi va bene così, non dire è un’altra forma di dire, altrettanto necessaria e salvifica.

L’amore si offre gratuitamente, il bene si conquista, invece, come una medaglia in una gara di resistenza di atletica leggera. Questo passaggio – scontato per alcuni – mi ha fatto riflettere non poco sui legami tra le persone. Farne una distinzione così netta denota non solo un notevole ragionamento ma anche una certa “sofferenza”. Tutti andiamo incontro a delusioni, ma è una questione sulla quale, personalmente, non mi sono mai soffermato più di tanto. Ancora oggi, inconsapevolmente, offro in maniera incondizionata il mio affetto. Forse alcuni non imparano mai cose con cui altri sono “costretti” a farci i conti. Mi piacerebbe conoscere la tua sul punto.

Sì, ci ho ragionato molto sull’argomento e sono contenta che la cosa sia visibile: altrimenti tanto lavoro per niente! Ai tempi dell’università c’è stata una poesia di Catullo che è stata per me illuminante, che cioè ha proprio avviato in me questa riflessione. Catullo era innamorato di una donna terribile che lo faceva penare: queste pene lo costringevano ad amarla di più come donna, ma a volerle meno bene come persona. Grazie a questa poesia ho capito tutto: amare è facile e incondizionato; voler bene davvero, fino in fondo e senza pretese, è la vera impresa.

Mi riallaccio al tema precedente con un altro passaggio interessante: tradire fa schifo, senza se e senza ma, sporca tutto, distrugge ogni cosa, relazione e persona, vittima e carnefice.

Sul punto siamo in sintonia ma per alcuni dipende dal punto da cui si osserva il fenomeno. Se si parte da un’esperienza diretta solitamente il giudizio è più netto, duro. Soprattutto lato vittima, anche se ho conosciuto traditori seriali pentiti che ad un certo punto hanno deciso di cambiar vita. Vogliamo analizzare la cosa facendo dei riferimenti alla storia in oggetto?

Beh, l’argomento è delicato, ho provato ad analizzare la faccenda dal punto di vista della vittima. Nella mia vita mi è capitato di tradire, quindi conosco cosa si prova ad essere carnefice. Ho provato ad immaginare sentimenti e stati d’animo che non ho vissuto personalmente (ma solo perché non ne sono venuta a conoscenza).

È stato molto difficile, ad esempio, riuscire ad immaginare cosa prova un uomo quando viene tradito; ho dovuto avvalermi di pareri maschili per capire che c’è una profonda differenza tra la reazione maschile e quella femminile. Dinanzi ad un tradimento le donne vanno su tutte le furie perché credono che il proprio compagno abbia tradito per amore, perché un’altra donna li coinvolge di più. Gli uomini no, loro hanno un unico pallino, ovvero quello che la propria donna abbia preferito sessualmente un altro a loro. Cioè, la riflessione su “sei innamorata di un altro uomo” viene dopo, prima c’è la domanda: non ti soddisfo più sessualmente?

Lungi dall’essere in possesso di verità assolute, è questo che mi pare di aver compreso e di aver voluto riportare nelle parole di Alberto. La lettera scritta da Alberto è quella che ho rivisto più volte e che mi convinceva di meno: ancora oggi credo abbia una sensibilità femminile spiccata, ma d’altronde il mio Alberto è un super sensibile, lo volevo esattamente così.

Bene Sara, siamo al momento dei saluti. Ci siamo raccontati un po’ di cose, ma la domanda che mi sorge spontanea è: dove si può acquistare Quasi Felice e dove ti si può incontrare?

Grazie per questa intervista, sei stato davvero gentile! “Quasi felice” si può acquistare on-line sul sito ufficiale di Scatole Parlanti, e sui vari store Amazon, Feltirnelli, Ibs. È prenotabile presso qualunque libreria e cartolibreria, e fisicamente lo trovate a Napoli, in zona Vomero, da “Iocisto” e “Raffaello”.

Ne approfitto per invitarvi alla presentazione di “Quasi felice” di questo Sabato, 15 dicembre, ore 12, presso la Galleria Mediterranea che si trova a Napoli, in via Carlo De Cesare, 60. Per l’occasione ci sarà uno spettacolo che è l’adattamento teatrale al testo, con parti recitate e performance al trapezio; è l’ennesima gioia che mi ha dato Quasi felice, la possibilità di trasformare le parole in atti, i silenzi in musica. Vi aspetto.

Salvatore D’Ambrosio

Napoletano, curioso, estroverso, ama il sud e la sua gente, la buona cucina, la letteratura, il cinema, la musica, il calcio ed il mare. Adora viaggiare

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