Epo | Enea – un magnifico viaggio a vele spiegate

Con immensa gioia oggi vi parlo degli EPO e del loro ultimo lavoro Enea (disponibile dal primo Marzo per SoundFly). La band napoletana – dal sound inconfondibile, amata da una vastissima platea di trentenni come me, e non solo – torna sulle scene a tre anni dall’EP Serpenti.

Epo - Enea

Epo | Enea – copertina

Enea è intriso di quel “rock” di natura melodica, mai fragoroso e sussurrante, tipico di Ciro Tuzzi & Co. È completamente cantato in napoletano. Le dieci tracce – più una ‘bonus’ contenuta nel formato fisico dell’album – sono per lo più incise in presa diretta, coadiuvate dal sapiente inserimento dei fiati di Roy Paci e degli archi di Rodrigo D’Erasmo. Il prodotto di tali fattori è un suono che attinge da una matrice autorale europea, ma dal cuore partenopeo, pulsante, enormemente caratteristico e caratterizzante. Non solo per l’uso del dialetto, anzi, nel contesto, tranne alcune peculiarità, nemmeno ci si fa caso.

L’idea di un viaggio. Non esattamente come Enea che fuggì da Troia per approdare in Italia.

Il concetto, prima di addentrarsi nell’ascolto degli EPO, deve assolutamente essere scomposto: la scrittura di Tuzzi è diretta ma ermetica nelle interpretazioni. Il viaggio, in tal senso, quasi mai consiste nello spostarsi da un punto A ad un punto B. Nemmeno il racconto che lo descrive è un reale puntello espressivo. Ciò che realmente conta è come l’ascoltatore filtra i messaggi musicali e lirici.

Enea, il disco traccia dopo traccia.

Come Enea percorreva il suo cammino asservito al volere degli Dei, anche il protagonista di Addò staje tu affida a Dio le motivazioni e i perché dei dolori fisici e morali che lo attanagliano. Il tema principale è forse quello della disillusione. Il ritornello in falsetto è da pelle d’oca.

A primma vota è una fotografia di ricordi ed immagini realistiche di luoghi e pezzi di città, spesso traslati in abitudini, in rapporto a quel che oggi quelle memorie generano. L’invito personale a vivere le sensazioni come fossero nuove ogni volta.

L’introduzione di Nun ce guardammo arete sembra essere preso direttamente dalle composizioni di inizio secolo scorso, tutto archi ed empatia. La canzone, a mio parere, indica il cambiamento inteso quale ostacolo da superare. Ripercorrere la strada già battuta significherebbe riprendere contatti e sensazioni ormai trasformate e, fondamentalmente ‘inutili. Secondo gli EPO è meglio dedicarsi alla notte che si sta vivendo in quel momento. La nota critica cresce assieme alla musica.

Dimmello mò è forse la canzone più riflessiva dell’album Enea. Musica e parole sono il dettaglio di attimi perpetui, immersi nel pensiero di sé stessi e nelle piccole sfumature fissate sulla tela di una giornata viva: il raggio di sole che impatta su un palazzo o la folata di vento che sfugge tra le dita. Comincia a guadagnare il proprio spazio il sentimento di una forte coscienza identitaria.

Luntano chiarisce, semmai ce ne fosse il bisogno, che più si va avanti e maggiore è il sentore introspettivo a cui l’ascoltatore deve render conto. Giunti fino a questo punto dell’opera, si comprendono meglio le analogie che legano l’LP alla figura dell’Enea virgiliano. Ogni canzone scandisce dei precisi momenti sia del ‘viaggio’, più ampiamente inteso, che dello stato d’animo di chi percorre. Ora con lo sguardo in avanti, puntato ovviamente ‘lontano’, sulla ‘strada’, figura ricorrente che diventa retorica.

Epo - Enea

In Damme ‘na voce chi comprende il napoletano, ma non riesce a coglierne ogni sfumatura, deve fare i conti con i modi di dire ed termini che appartengono alla quotidianità di un popolo eterogeneo e immensamente poetico. Già sul titolo si potrebbero aprire infinite interpretazioni filosofiche e gli EPO lo sanno bene. Difatti altre parole vengono incastonate nel gioiello lessicale: “cerase”, “ ‘nsiria”, “ ‘a ciorta”, fino ad arrivare alla forma suntiva de “ ‘a neve dint’ ‘a sacca”. Bene, nulla è precluso a chi non è autoctono o abbia una conoscenza superficiale del dialetto, tuttavia, esserne edotti, apre una finestra su un mondo di colori e attenzioni, come dire, diversi.

Sirene. La band, nel testo, riesce a descrivere la canzone in modo perfetto in quattro parole: “nenia portata dall’onda” (tradotto). Io ho sentito la speranza di un marinaio di tornare alla propria terra dopo una navigazione tortuosa, sia essa reale o illusoria, psicologica. Stavolta il richiamo epico si rifà più alla figura dell’Odisseo omerico. Unicamente per il fatto che fu Ulisse, più di Enea, vera vittima delle sirene e che ‘l’appartenenza al mare’ fosse la condanna inflitta lui dallo stesso Poseidone. Dettagli.

Il brano Auciello è una traccia ricca di pathos allegorico. La giusta congiunzione per trasportare il pubblico verso la canzone successiva, veicolandone le percezioni in modo positivamente subdolo, al fine di creare un approccio appropriato.

È così che giungiamo a Malammore. Musicalmente minimale, oserei dire essenziale. Figurazione dello spaccato umano in equilibrio dinamico ma precario tra la descrizione di ciò che è fuori, sotto gli occhi del mondo, e ciò che invece è dentro, raggiungibile unicamente dall’introspezione. Lo so che non è bello spiegarsi come un libro stracciato ma venitemi incontro. Gli EPO sapranno perdonarmi. Anche qui il dialetto è il passepartout per scenari già chiari, ma più fantasiosi e impreziositi di dettagli.

Ombra si’ tu. La sinestesia di un sapore agrodolce assunto da un arrivo oltre aspettativa. Ovvero quando raggiungi finalmente la destinazione e scopri di esserti perso qualcosa. Dover contenere emozioni distorte, mentre in sottofondo prende forma il processo di sintesi al fine di accettare quanto di diverso si è posto davanti, rispetto ai propri intimi desideri. La relazione contrasto/accettazione si risolve nella figura precisa di un’ombra che esiste, è lì, la vedi. Ma è altrettanto evidente quanto sia eterea, immateriale, intangibile, in una parola: “niente”.

La fine del viaggio (o no?), il colpo di coda della ghost track e memorie di lungo corso.

Nel formato giunto in redazione per l’ascolto Appriesso ‘e stelle è, di fatto, una ghost track che vive sulla coda della canzone precedente. Il brano è leggermente più vivace in confronto al clima finora percepito. L’ispirazione, sia tematica che interpretativa, è sicuramente da riscontrare in Pino Daniele. Personalmente la ritengo addirittura necessaria nell’economia globale di Enea, anzi, avrei provato a ‘replicarla’ almeno una volta per sparpagliarle nel disco e rimescolare quel tanto che basta l’altalena emotiva che si vive in quest’opera.

Concludo in modo molto banale ma diretto. Sono felice di aver avuto l’opportunità di ascoltare in anteprima l’ultimo lavoro degli EPO, ancor più felice per averci speso due parole. Enea è un album piacevolissimo. Punto. Basta. Non lo dico solo perché, più di dieci anni fa, ho praticamente fatto per mesi il tragitto casa/lavoro, lavoro/casa consumandomi le orecchie con Silenzio Assenso (opera magnifica). Lo dico perché è praticamente impossibile sintetizzarli con un’etichetta, inoltre, la loro musica, scava a fondo nell’animo di chi le presta la dovuta attenzione. Credete sia tanto facile?

Mario Aiello

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