Il 15 marzo 1972 usciva per la prima volta nelle sale quella che oggi è una delle più grandi pietre miliari della storia del cinema: Il padrino. Tratto dall’omonimo romanzo di Mario Puzo, il primo capitolo della trilogia di Francis Ford Coppola, composto da un cast stellare fra cui Marlon Brando, Al Pacino e Diane Keaton, incassò 135 milioni di dollari (cifra che mantenne il record fino all’uscita de lo Squalo) e vinse 3 premi Oscar su 10 nominations ricevute.
La pellicola attualmente è al secondo posto nella lista dei migliori 100 film statunitensi di tutti i tempi stilata dall’American Film Institute.
L’enorme impatto ottenuto nella cultura di massa ha reso questo capolavoro immortale e universalmente conosciuto. A distanza di 47 anni dalla sua uscita è difficile trovare persone che non conoscano Il padrino, anche soltanto per il titolo.
Il dialetto siciliano di don Vito Corleone, la mascella sporgente, la scena del gatto sulle ginocchia, la frase “Gli farò un’offerta che non potrà rifiutare” sono particolarità diventate vere e proprie icone nell’immaginario collettivo.
GENESI DEL FILM
Nel 1969 il romanzo “Il padrino” di Mario Puzo vendette circa 9 milioni di copie e venne inserito dal New York Times nella lista dei migliori best seller. Da qui nacque un certo interesse per l’opera da parte della Paramount. Ma inizialmente non tutto lo staff della casa cinematografica era d’accordo sul cominciare questa produzione. Il motivo era che la precedente uscita de La fratellanza, film di ambientazione molto simile a quella del romanzo di Puzo, si rivelò un flop e fu disapprovata dalla critica per aver in qualche modo simpatizzato con la figura dei mafiosi, facendo sprofondare la Paramount in una profonda crisi finanziaria.
Alla fine il progetto fu approvato all’unanimità e furono acquistati i diritti del romanzo. Anche la scelta del regista, però, non fu facile. Dopo vari rifiuti da parte di Sergio Leone (che all’epoca stava lavorando a C’era una volta in America), Peter Bogdanovich, Elia Kazan, Arthur Penn e Costa Gavras, venne scelto l’allora semisconosciuto Francis Ford Coppola, che dopo questo lavoro ottenne fama mondiale e venne consacrato come personalità di spicco nel mondo del cinema.
TRAMA
New York, 1945. don Vito Corleone detto “il padrino”, capo di una delle più potenti famiglie mafiose della città, nel giorno del matrimonio di sua figlia riceve una visita da Virgil Sollozzo detto “il turco” che gli propone di entrare nel traffico degli stupefacenti. Don Vito rifiuta, ma il gesto scatena una guerra tra famiglie che lentamente miete vittime e coinvolge anche Michael, reduce della seconda guerra mondiale nonché unico figlio a non esser stato sino ad allora coinvolto nei loschi affari della famiglia. Il ragazzo si troverà così ad affrontare progressivamente l’ascesa nell’impero criminale, fino a diventare egli stesso il nuovo “padrino”.
CURIOSITÀ
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La storia del cotone.
Marlon Brando, che all’epoca aveva 47 anni, per il provino decise di voler dare al suo personaggio una faccia da Bulldog. Si infilò del cotone in bocca per appesantire le guance e sembrare più anziano. Il truccò funzionò e convinse regista e produttori. Per le scene originali l’attore utilizzò un apposito apparecchio costruito da un dentista, che modificava i tratti della sua mascella.
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La scena del gatto.
Il cattivo della storia che accarezza un gatto è divenuto ormai un clichè. Eppure, la scena di don Vito con il piccolo felino non era presente nella sceneggiatura originale. Brando trovò il randagio poco prima di girare e cominciò a coccolarlo, l’animale fu così contento di ricevere attenzioni che non voleva più lasciarlo andare, così l’attore lo portò sul set.
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La scena del cavallo.
La celebre ripresa del cavallo decapitato contiene, in realtà, un errore: l’esemplare che Woltz mostra a Tom ha una macchiolina bianca sulla testa, particolare mancante nella testa mozzata che Woltz trova nel suo letto.
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Una parola che non viene mai pronunciata.
Prima dell’inizio delle riprese, il boss di una delle famiglie di Cosa Nostra tentò di boicottare la realizzazione del film, convinto che la pellicola avrebbe denigrato gli italo-americani, ritraendoli tutti come mafiosi. Alla fine, il boss e la Paramount raggiunsero un accordo: la parola “mafia” non sarebbe stata mai pronunciata all’interno del film.
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Il distacco di Frank Sinatra.
Frank Sinatra fece pressioni sulla produzione affinché il personaggio di Johnny Fontana del romanzo di Puzo (a lui ispirato) non venisse ricondotto a lui per via dei suoi presunti legami con Cosa Nostra.
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Gli scherzi di Marlon Brando.
Marlon Brando amava molto fare scherzi sul set. Due fra le tante vittime, in una scena in cui dovevano trasportare don Vito su una barella, non sapevano che Brando aveva fatto mettere sotto le coperte una serie di pesi, per fare in modo che la barella arrivasse a pesare fino a 300 chili.
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L’Oscar rifiutato.
La sera della cerimonia degli Oscar, Marlon Brando venne premiato come miglior attore protagonista, ma si rifiutò di ritirare la statuetta in segno di protesta contro le ingiustizie della società statunitense verso le minoranze etniche, in particolar modo gli indiani. Brando è stato il secondo attore nella storia del cinema ad aver rifiutato il premio.
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La protesta di Al Pacino.
Sempre durante la cerimonia, dopo l’annuncio del premio vinto da Brando come miglior attore protagonista, Al Pacino reagì male, sostenendo che nel film il suo personaggio era decisamente più presente rispetto a quello di don Vito, e che quindi il premio come miglior attore protagonista avrebbe dovuto vincerlo lui, mentre a Brando spettava la statuetta come miglior attore non protagonista.
QUANDO CON IL PADRINO CAMBIÒ TUTTO
Il padrino è lo specchio della New Hollywood, un periodo di rinnovo del cinema statunitense che va dagli anni ’60 ai primi anni ’80.
Con l’avvento della televisione in America si registrò un drastico crollo degli spettatori. Il cinema Europeo stava subendo un cambiamento di rotta con la Nouvelle Vague in Francia e la commedia all’italiana e gli spaghetti western in Italia, nuovi generi che avevano riscontrato il parere più che positivo della critica. Il cinema americano necessitava una trasformazione, doveva stare al passo per non soccombere.
Ecco nascere Il Laureato, Easy Rider, Il padrino, Lo squalo, fino ad arrivare a Toro scatenato, considerato l’ultima produzione della New Hollywood. Il nuovo genere aveva riportato le persone in sala, attirando la loro attenzione con argomenti che fino ad allora erano stati considerati tabù innominabili.
Il padrino aveva osato parlare di mafia e, anche non sentendo mai pronunciare questa parola nella pellicola, era chiaro agli occhi di tutti cosa si stesse guardando. Don Vito Corleone è un fuorilegge, ma conserva intatto il senso dell’onore e ha un personale codice morale che impone dei limiti al delitto. Elementi che, mescolati al suo attaccamento per la famiglia, paradossalmente lo rendono umano e ci fanno simpatizzare con il personaggio. All’epoca la critica si spaccò a metà, fra chi trovò sgradevole l’inevitabile ambiguità del film e chi, invece, lo apprezzò proprio per questa motivazione.
Distaccandosi per un momento dal primo impatto, però, si percepisce che la pellicola si trovi a raccontare di mafia quasi per caso, come a voler mostrare fra le righe un concetto più profondo, quello dei legami di sangue indissolubili, valore che allora mancava nella società statunitense. La vera disgrazia non era la mafia, ma l’impossibilità di sottrarsi al proprio destino, dramma vissuto in prima persona da Michael Corleone (impersonificato magistralmente da Al Pacino) che, nonostante l’iniziale distacco dalla criminalità dei parenti, alla morte del padre viene fagocitato dal valore della “famiglia”, e rinnegando le aspirazioni di gioventù si trova a prendere il suo posto con un passaggio di testimone.
Il padrino è un film “che non si può rifiutare”, il cui fascino ipnotizza dal primo all’ultimo momento. Le tre ore di durata sembrano niente di fronte alla bellezza dei personaggi quasi caricaturali, alla simbologia (le arance che compaiono più volte come allerta del pericolo), alla Sicilia barocca rappresentata come in una cartolina fino alle prime note della colonna sonora di Nino Rota, eredità culturale che ci porteremo per sempre.
Federica Brosca