Taylor Swift, la bella e brava cantante della Pennsylvania, torna sulla scena – qualora fosse davvero mancata – con un nuovo disco: Lover.
La lunga strada per il successo. Minuscola solo per pochi.
Opera numero sette, in poco meno di quindici anni di musica, per la giovane stella del pop mondiale. I crismi che la caratterizzano sono ormai noti a milioni di persone in tutto il globo. Taylor Swift macina numeri sconvolgenti, anche per gli storici mostri sacri del panorama. Parliamo di milioni di copie vendute in pochi giorni. Certo, il bacino d’utenza è spropositato, ma davanti a questi risultati bisogna solo alzare le mani. Al più usarle per applaudire.
Stavolta il taglio artistico ha scorto e seguito una piccola luce lontana (ma nemmeno tanto eh), portando baracca e burattini verso una zona di non-comfort che si discosta lievemente da quanto prodotto fin qui. Il risultato? Lo scopriremo solo ascoltando o leggendo questo articolo.

Lover, pubblicato lo scorso ventitré Agosto, è un LP di ben diciotto brani prodotto dalla stessa Taylor Swift assieme all’immancabile Jack Antonoff e distribuito dall’etichetta Republic Records.
La selezione si colloca agevolmente nel contesto artistico americano di questi anni. Il riferimento è alle dirette competitors come Billie Eilish e Halsey. Inutile dire che le proporzioni sono impietosamente a vantaggio di Taylor Swift che non solo ha dimostrato un tratto contemporaneo, modificando la forma già in tempi non sospetti, ma anche una crescita costante. Crescita forse mai repentina o con grossi sussulti, ma comunque coerente. Complice l’altissimo livello delle produzioni made in U.S.A. sia in qualità di produzione esecutiva (con progetti innaffiati da fiumi di dollari) che di produzione artistica. Il divario con l’Europa, in questi termini e per questo genere, sembra incolmabile.
Nel vecchio continente viviamo un deriva ‘indie’ ormai finta, che di indipendente ha ben poco. Questo per dire che un certo tipo di musica, come quello di Lover, ha la forza di imporsi un po’ ovunque, nonostante a mio parere non sia l’album meglio riuscito della fascinosa bionda, senza preoccuparsi troppo di cosa piace o non piace sull’altra sponda dell’atlantico e, in parte, anche sull’altra sponda del pacifico.
Nello specifico Taylor Swift comincia ora ad affacciarsi al vero problema che attanaglia un po’ tutti gli artisti che hanno costruito la propria carriera su un’immagine giovanile, sempre auto ironica (anche a fronte di tematiche personali coniugate in modi fin troppo negativi), ovvero l’età che avanza.
Quando il gossip influisce sui temi e la forma di un disco.
I tempi delle hit alla Shake It Off non sono lontanissimi, ma aprire ad un approccio più maturo non è facile e soprattutto non è un passaggio così automatico. Secondo me il disco deve i piccoli cambiamenti che porta con sé solo ed esclusivamente alla fortunata relazione amorosa tra la Swift e Joe Alwyn. Dirò di più, è solo un caso che Lover non sia l’ennesimo manifesto di storie finite e vissute male declinato in tutte le salse, dal drammatico all’ironico. L’album è stato registrato da dicembre 2018 fino ad aprile 2019 mentre la stesura dei brani è verosimilmente avvenuta nei due anni che precedono l’uscita. Non per fare gossip ma è più o meno il tempo che i due piccioncini hanno vissuto la loro felice relazione. Quando due più due fa quattro, oggi, sembra sconvolgente.
Ad ogni modo, dopo tredici anni di attività, sei album e diciotto canzoni solo nell’ultima produzione, è del tutto ‘fisiologico’ trovarsi di fronte a qualche pedina inedita. L’aria generalmente rarefatta di Lover non è incoerente ai crismi imprescindibili di Taylor Swift, tutto è comunque collegato in qualche modo al suo bagaglio musicale. Non bastano sfoltite di strumenti e linea minimalista (per qualche pezzo) per dare una sferzata consistente e percettibile. Eppure, già a partire dalla copertina (ma anche dal video di You Need To Calm Down) tutta colori pastello in tinte rosa e avion, anche un non-fan avrebbe sul viso un’espressione quantomeno perplessa.
‘Come ti esprimo un concetto usandone almeno trenta’
I Forgot That You Existed è l’emblema del ‘non ho capito’. Nel senso che rappresenta un punto e basta col passato. Un punto cercato, voluto e ribadito… ma se uno vuole chiudere col passato, perché ricordarlo? Per me sono ossimori che hanno una certa valenza solo nel mondo dell’arte. Qualcosina nel merito viene approfondita in Cruel Summer, ma in tutta onesta l’antipasto fornito dalle prime due canzoni non stuzzica nel migliore dei modi le papille gustative che, finora, restano asciutte.
Qualcuno si starà chiedendo: “ma come? Avevi detto che c’era un’aria di cambiamento!”. Sì caro lettore, hai ragione, arriveremo al dunque.
Difatti si può sentirne l’odore (del dunque) con Lover, brano che da il nome al disco. Qui la Swift attinge da un repertorio ‘vintage’ senza perdere mai di vista ed udito le note allitteranti, impronta ricorrente della cantante.
L’altalena di sonorità che si intervallano, alternando brani dal taglio molto diverso tra loro, è un espediente corretto, riuscito. L’ascolto prende ritmo e riduce il forte rischio che ogni cosa si appiattisca sotto il peso delle diciotto canzoni che formano l’opera.
Le soluzioni adottate non sono proprio tutte riuscite. Qualcosa di già sentito (non che sia per forza un male) aleggia tra i brani The Man e The Archer . Quest’ultima, già video lyrics, intrisa da una dose di pathos in più, tra voci armonizzate e dinamiche in perenne crescita, lenta, costante, fino all’apice che giunge a pochi secondi dalla fine.
Attimi di tipicità ma dai toni ridenti reperibili in I Think He Knows – che sembrerebbe l’incubo di una tizia a cui il fidanzato ha sgamato le corna, ma il titolo è fuorviante – e Paper Rings. Nel mezzo Miss Americana & The Heartbeak Prince pare sussurrare una pallida critica sociale resa palpabile, in suoni, esclusivamente dai contrappunti di piano/tastiera nel ritornello. Unico comune denominatore, come sempre la grancassa di batteria campionata ed abusata. Probabilmente il risvolto tecnico meno elegante, dissonante in riferimento al fine minimal di un concetto abbozzato e mai eviscerato.
Lover – L’antitesi del concept: una vetrina poco ordinata.
Dare un ordine alla struttura album di Lover credo sia stato impossibile. Non può esserci un ordine naturale dei brani, di conseguenza tutto segue un flusso di coscienza poco ragionato, a mio modesto parere. A volte gli accostamenti sono ‘strani’ ma funzionali, altre volte più coerenti ma senza presa.
Il nord geografico sembra collocarsi nei pressi di Cornelia Street. Canzone che assurge a ruolo figurativo di mission dell’LP, ovvero, fare un passo di lato rispetto al recente passato della talentuosa Taylor Swift e indirizzare le composizioni verso una quadratura meno arzigogolata. Ciliegina sulla torta, l’introduzione di un ingrediente fondamentale, il “basta tormentarsi! Continuiamo a rimuginare e tirare addosso ai vecchi amanti tutto l’inverosimile di cui abbiamo ancora memoria, ma col sorriso sghembo sul viso, forti detentori di una nuova storia d’amore felice stretta tra le mani”. Evviva!
Se quanto sopra non dovesse bastare, il concetto viene ribadito in salsa miele sulle note di London Boy. Una sdolcinatezza fruibile solo per chi non ha problemi di diabete, tutto muove sul filo della gioia smisurata ma incredibilmente composta. Difficile riuscire a tirargli appresso un’invettiva feroce, si scioglierebbe sul muro di zucchero che la avvolge.
Una perla di umanità e la deriva Pop.
A questo punto della riproduzione, chitarra e voci fanno da fondamenta per Soon You’ll Get Better. Un augurio accorato rivolto alla madre, costretta a combattere contro il cancro. Una canzone giustamente dolce e soave.
False God e You Need To Calm Down sono due cardini diametralmente opposti tra loro. Entrambe rilevanti nell’economia del disco ma con impostazioni e contenuti diversi. Intimistica e grigia la prima, colorata e dalla prepotente linea orecchiabile la seconda. Da sottolineare ancora una volta l’uso allitterante e ritmico delle parole nella strofa. Le colloco tra le minuzie prestigiose di Lover.
Immancabile come gli acquazzoni di fine Agosto il profumo di anni ‘80 che fa capolino con Afterglow. In onor del vero, però, va detto che il brano è soddisfacente e non fa leva sull’effetto nostalgia.
In un album di parziale rottura le sfumature migliori non dovrebbero essere quelle più simili al passato. Non è un monito e ne prendo atto. Tant’è che comincio a pensare che la contrapposizione sia solo un frutto della mente di chi ascolta, molto, molto lontano dai prefissi logici di chi invece l’opera l’ha pensata e prodotta. Tutto questo è stato tradotto in ME! (feat. Brendon Urie of Panic! At The Disco).
Love chiude con un trittico di piacevolezza e propositività che, francamente, spiazza. Sicuro di cogliere qualche silurata un po’ qui e un po’ là, ci sono quasi rimasto male. Anche perché la forma ironica ed auto ironica di Taylor Swift non mi dispiace. Oltre alla canzone precedente, fanno parte della triade anche It’s Nice To Have A frined e Daylight. Ognuna con le proprie peculiarità e diversificazioni.
Per concludere: Taylor Swift continua a percorrere la strada del successo a grandi falcate. Lover è un elemento di ‘diversificazione’ ma coerente con la vena compositiva della brava cantante americana. Il primo passo verso una possibile maturità artistica che forse porterà a grandi cambiamenti? Oppure un esercizio di stile coadiuvato dalla felice storia d’amore – forse la prima in assoluto – che la bella interprete sta vivendo?
Mario Aiello