Morrissey è tornato. Il 20 marzo scorso è uscito il suo nuovo lavoro I Am Not a Dog on a Chain, titolo non certo casuale. Ancora una volta, l’ex leader degli storici The Smiths, band lasciata nel 1987, ci tiene a dare la sua aspra e critica opinione del mondo circostante.
Il disco appena pubblicato con la BMG è il tredicesimo in studio del suo percorso da solista. Alla produzione c’è Joe Chiccarelli, che ha già lavorato con artisti del calibro degli U2, Beck e White Stripes.
L’artista ha giudicato il suo disco:
“too good to be true […] too true to be considered good”
Così come nella auto-descrizione, il cantautore originario di Manchester non si è risparmiato la sua, anche riguardo il difficile periodo che il mondo intero sta attraversando. Valutazioni che potremmo definire “leggermente” distorte rispetto alla realtà.
Innanzitutto, sul palco alle spalle del cantante durante le date del tour è apparsa una nuova versione della copertina del suo settimo disco You Are the Querry del 2004. In questa edizione – Morrissey, You Are Quarantined – il volto di Moz è coperto dalla bocca al naso da una mascherina bianca. L’ironia ed il sarcasmo non si fermano di certo qui. Ha fatto letteralmente il giro del mondo il suo definire il Coronavirus col nome dell’americana “Miley Cyrus”, in seguito all’annullamento della data parigina dei suoi live.
Il 14 marzo scorso Morrissey, però, si è esibito alla Wembley Arena di Londra, totalmente non curante della pandemia mondiale, dando il via alle danze con una cover di The End of the world di Skeeter Davis del 1962.
Morrissey è esattamente l’opposto di un cane addomesticabile. L’avevamo salutato con un arrivederci nel 2017 con Low in High School e oggi lo riascoltiamo in una veste più legata alle parole che alla musicalità.
I AM NOT A DOG ON A CHAIN | PART ONE
Jim Jim Falls è il primo pezzo in scaletta di I Am Not a Dog on a Chain. Il disco si apre già in modo imponente con questa immagine delle maestose cascate che si trovano nell’Australia del Nord. Seppure in questo caso la natura serva da espediente metaforico.
“At Jim Jim Falls
I felled up from Hell”
Così come lui stesso canta, Morrissey è caduto dall’Inferno ancora una volta. E consiglia agli indecisi di non pensarci due volte, di prendere le decisioni senza lamentarsi.
L’ascolto prosegue con Love Is on Its Way Out, pubblicato il 31 gennaio come singolo. In un periodo in cui i sentimenti sembrano essere accantonati, si canta dell’amore che sta per uscire ed emergere allo scoperto. Forse.
La prima canzone che ha annunciato ufficialmente, il 10 gennaio, l’uscita dell’album è stata Bobby Don’t You Think They Know?
Come i precedenti e come l’intero lavoro c’è un forte richiamo agli anni Ottanta. Più che alla new wave, ai synth più tipici della discomusic, senza risultare né scontato o ridondante. La voce di Moz, in questa circostanza, viene accostata a quella femminile di Thelma Houston.
Ciò che, invece, sembra quasi assente è il suono della chitarra elettrica, se non per alcuni accenni, sostituita da tastiere e suoni più leggeri e pop. Probabilmente, per rimembrare agli ascoltatori il distacco dagli Smiths e il vecchio amico Johnny Marr.
I Am Not a Dog on a Chain dà il titolo alla tredicesima fatica di Morrissey proprio per ribadire l’essenza del mancuniano, l’opposto di un cane in gabbia. Qui c’è una particolare critica verso i giornalisti e la stampa, che vengono definiti troublemakers. Spinge i suoi seguaci a fare a meno della stampa per cercare la verità. Inevitabile non pensare a Bigmouth Strikes Again, uno dei pezzi più storici degli Smiths del 1986.
Arriviamo al quinto pezzo dell’album, intitolato What Kind of People Live in These Houses? ed il tutto prosegue con un tono delicato. Evidente è la critica a chi non è capace di cambiare le proprie abitudini, la propria routine. La colpa è attribuita all’imitazione dei rispettivi genitori. “Dove saranno questi tra dieci anni?”si chiede Moz, nella sua visione soggettiva dell’inglesità contemporanea.
I AM NOT A DOG ON A CHAIN | PART TWO
L’ultima canzone pubblicata, il 21 febbraio, prima dell’uscita delle undici tracce nella loro completezza è Knockabout World. Morrissey guarda il mondo chiassoso dall’alto della sua collina privata e quello che vede non sembra piacergli molto. Così come in Darling, I Hug a Pillow guarda l’amore da lontano, sostituendo un corpo fisico con un cuscino.
È il turno di Once I Saw the River Clean. Ritorna, come nel pezzo che dà il via al lavoro, l’immagine naturalistica, nel brano che è forse il più ballabile. La melodia ci catapulta direttamente a Manchester con la citazione dei luoghi precisi di Chester Road e Talbot Road (le strade dove è possibile ammirare il fiume Irwell). Il tempo sfugge, nulla tornerà più come era prima, così come il fiume non tornerà pulito.
Un insieme di suoni si alterna, ma non in modo prorompente. Sempre leggero, per non sovrastare mai le parole del mancuniano, che è posizionato in rilievo rispetto a tutto il resto. Unica eccezione per The Secret of Music, della durata di oltre sette minuti, che appare come l’ultima canzone di un concerto, nel momento in cui si presentano i componenti della band al pubblico.
Musicalmente potrebbe non risultare un album particolarmente incisivo, ma di certo il cantautore sa bene come scrivere dei grandi testi. Non ha perso la sua graffiante critica aspra verso la società in cui viviamo. Anzi, potremmo quasi dire che su questo aspetto, con I Am Not a Dog on a Chain il mondo in cui viviamo è dipinto in modo ancora più cupo e ostile.
Che l’artista non fosse un cane incatenato lo sapevamo già, non doveva di certo ripetercelo. Morrissey, insomma, ci sa ancora fare e anche parecchio. È un dato che non possiamo non ammettere. Continua a raccontare in modo personale la sua visione del mondo senza tempo, con l’arroganza che a distanza di anni gli porta un numero sempre maggiore di haters. E forse proprio per la sua essenza da figlio di buona donna non riusciamo a non volergli bene.
Il disco si chiude con My Hurling Days Are Done, sulle note dei suoi giorni d’oro ormai andati e perduti. Allo stesso tempo, quel “oh time oh time, no friend of mine” ci può far credere che il cantante provi una probabile nostalgia verso il passato. Oppure possiamo immaginare la sua immortalità nel panorama musicale mondiale. Forse il significato in questo caso può essere più di uno o nessuno dei due. Da buoni sognatori, concediamoci il beneficio di questo dubbio, rimettiamo l’album da capo e godiamoci nuovamente quest’ascolto in questi giorni in cui il sole è fin troppo lontano.
Assunta Urbano