Dalle strade ai dischi: come la musica Hip Hop ci ha cambiati

Per molto tempo si è detto che l’Italia non era la “terra giusta” in cui seminare la cultura della musica Hip Hop, complice anche la nostra non semplice lingua. Ottenere una buona rima in italiano non era come con l’inglese, ed inoltre non potevamo contare sul background della New York degli anni Settanta.

Poi successe qualcosa. Afrika Bambaataa fece un (primo) tour mondiale e le sue note toccarono anche la nostra penisola; nel frattempo, film come “Beat street” diventavano un culto, così l’ispirazione entrò in circolo. Nacquero i primi gruppi di breakers, che si riunivano al Muretto di Milano o nella Galleria Colonna a Roma, i muri si riempirono di graffiti e qualcuno provò finalmente a fare rap in italiano. Qualcosa, nella nostra cultura musicale, stava cambiando. Le discipline dell’Hip Hop attirarono una grossa fetta di giovani che si riconobbero come unico grande movimento.

L’influenza di questa corrente non si è più arrestata da allora, ed oggi è sfociata nel fenomeno Trap che ha coinvolto la stragrande maggioranza degli adolescenti italiani. Ci sono però punti fissi, interrogativi che ci aiutano a comprendere meglio il complicato mondo di questa realtà musicale. Ad esempio: quanto conta la credibilità di strada negli artisti?

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Hip e Hop e Street Credibility

Ricordate quando in “C’era una volta in America” Robert De Niro, nei panni del gangster per eccellenza, disse che la “puzza della strada” gli piaceva da matti e i polmoni gli si aprivano solo a sentirla? Bene, da quella battuta al “dalle strade, per le strade” di un nostrano Noyz Narcos il passo è stato assai breve, se consideriamo l’evoluzione storica della sub-cultura urbana che, si sa, procede in modo parallelo a quella canonica. Le due sfere in realtà sono da sempre legate e l’una influenza inevitabilmente l’altra.

Non serve aprire chissà quale manuale di storia per sapere che la ricerca del cambiamento e della libera espressione vengono dalla periferia e dai margini dell’universo sociale. La vera emancipazione segue una linea verticale che, sebbene sia fatta di tanti “pressappoco”, parte dal fondo, proprio da dove si innalza quella “puzza della strada”. La musica rap, a sua volta, da buona figlia del proprio secolo, resta così la cornice migliore in cui raccontare le diversificate realtà dell’underground, le storie delle giungle di cemento.

Infatti, se vogliamo cercare un filo rosso nella biografia dell’Hip Hop e dei suoi artisti, troveremo proprio la volontà eterna di dimostrare una certa Street credibility. Se è vero che tutto parte da lì, da quei marciapiedi mal messi, calpestati da un paio di Nike bucate e dalle mura di quei palazzoni tutti uguali di periferia, quanto conta oggi per un rapper saper indossare il profumo della credibilità di strada? Qual è il suo peso specifico nel successo, nell’opinione dei fans? E soprattutto, si resta fedeli ad essa nonostante l’ascesa?

A giocare un ruolo decisivo è il passato dell’artista. Più il personaggio coincide con la persona e più l’ascoltatore si immedesimerà con facilità. I testi, i suoni, e le sfumature nel mezzo sembreranno reali, non forzate e scorreranno facilmente facendo della narrazione dell’autore qualcosa di specifico e universale al tempo stesso. La credibilità che deriva dalle storie ha, in secondo luogo, il suo tempo per riflettersi nei modi di fare, di vestire, di scegliere un certo tipo di macchina o di girare un video musicale in un certo modo.

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La credibilità artistica nel panorama attuale

La Street credibility ha un marchio di stile tutto suo, anche se non può essere considerarlo un vero e proprio marchio di stile. “Street Credibility” rischia di divenire sempre più, nel panorama attuale, un contenente e non un contenuto, un hashtag. Ma è pur sempre una naturale conseguenza dei tempi. Il fenomeno è a maggior ragione visibile nell’ascoltatore medio. Facile è diventato d’altra parte criticare gli artisti appena questi escono fuori dalla definizione classica di street.

Se infatti un tempo il calibro dell’artista si misurava proprio in base alla corrispondenza tra talento e credibilità, oggi può esserci merito e rispetto anche scrivendo di temi che superino l’ambito che una volta apparteneva alla Los Angeles del 1988, alla New York degli anni ’70 o all’Italia degli anni ’90. Insurrezioni, violenza, denaro sporco e spaccio sono argomenti mai sepolti e chiunque faccia parte del rap game fa i conti con l’estetica e l’etica che ne derivano. Tuttavia, una piccola rivoluzione di tematiche si sta compiendo.

Drake porta sul palco brani pieni di contenuto sentimentale, Ice-T ha scritto “Cop killer”, eppure ha avuto successo nel ruolo di poliziotto buono in Law&Order, Macklemore è stato visto come un outsider e criticato nonostante i suoi quattro Grammys. E in Italia? Nei testi di Ernia c’è la letteratura russa, in quelli di Axos compaiono la Bibbia, sua figlia e l’amore. Con Ghali impariamo a conoscere il rapporto madre-figlio e la specificità delle seconde generazioni. Murubutu insegna filosofia in un liceo e le sue rime sono sempre coscienziose. 

Tutti esempi di come rispetto e successo possano venire anche da virtù e storie diverse da quelle della golden era dell’Hip hop. Una tendenza non esclude l’altra. Per cui, forse, più che parlare di utilità o inutilità della Street credibility oggi, di presenza o assenza, basterebbe osservare che, come avviene per qualsiasi altro fenomeno sociale, il rap è in continuo mutamento, facendosi man mano specchio dei singoli cambi di guardia. E così come cambiano i fenomeni, cambiano (o dovrebbero cambiare) le lenti con le quali li si osserva, correndo sì il rischio della nostalgia per un linguaggio ormai passato, ma senza dimenticare da dove tutto è nato.

Alessia Santoro

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