Che Battiato sia stato un maestro, un poeta e un grandissimo intellettuale è cosa nota e riconosciuta. La sua grandezza e la sua “fortuna” sono state quelle di sapere esprimere pensieri critici, filosofici, metafisici, ma anche popolari e ironici, attraverso le note, elevando ancora di più la sua genialità. Ecco perché è considerato un artista di tutto rispetto e oggi in tanti piangono la sua morte.
Spesso ermetico nei brani, ma sicuramente poetico, del suo genio e della sua potenza intellettuale se ne possono fare tanti esempi e riferimenti.
In questo articolo mi soffermerò ad analizzare, in breve, un piccolo aspetto che ultimamente ha attratto di più il mio interesse e la mia curiosità. Condivido questa mia interpretazione e affido a voi lettori una riflessione affinché possa contribuire a rendere omaggio alle parole, alla mente e alla musica di Franco Battiato.
Franco Battiato e l’Oriente che mette in scena.
Da persona attenta, curiosa e colta qual era Battiato si è sempre posto l’obiettivo di conoscere per capire nuove concezioni del e sul mondo. Per trovare, forse, un punto di contatto nella diversità e dare senso anche a quello che noi siamo o potremmo essere.
“Un centro di gravità permanente” che servisse ad arricchire la propria visione e, in un certo modo, mettesse insieme i tanti “centri” sparsi nel mondo. E si sa che la prospettiva cambia in base a dove ti sposti e come ti guardi intorno. Insomma l’intento era di offrire una visione globale dell’universo, e per farlo bisognava partire da qualcosa di lontano.
E cosa meglio dell’Oriente come sinonimo di diverso.
I rimandi sono da ricercare nella letteratura, nella poesia, nella filosofia e nella storia di quei luoghi, e per restare connessi faremo qualche esempio.
In “centro di gravità permanente”, tra i diversi richiami, cita “Gesuiti e euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori nella dinastia dei Ming”, riferendosi alla dinastia cinese (1368 1644) durante la quale alcuni esploratori occidentali misero piede in territorio orientale. Erano soprattutto missionari gesuiti o “euclidei” per via del fatto che, oltre alla religione, portavano in dono conoscenze razionali e matematiche da diffondere (come Matteo Ricci). Tentarono di approcciarsi alle corti imperiali cercando di avvicinarsi il più possibile alle usanze del luogo; per questo, restando sulla strofa citata, si vestirono come “bonzi”.
In “Voglio vederti danzare”, “I dervishes turners che girano” sono i dervisci roteanti, ovvero discepoli di alcune confraternite islamiche sufi chiamati a distaccarsi dalle passioni mondane anche attraverso una danza turbinante – metodo per raggiungere l’estasi . Il suo interesse al Sufismo e al Misticismo non è certo nascosto.
“Le aquile non volano a stormi” è un brano dell’album Dieci stratagemmi (che prende spunto dall’antico libro cinese I 36 stratagemmi) cantato insieme a Kumi Watanabe, artista anglo-giapponese, e basato sui versi del “Lisao” (Incontro al dolore), noto antico poema cinese del III- IV a. di Qu Yuan, in cui il poeta mostra sia la sua parte razionale, politica e vicino alla corte, sia quella poetica che lo eleva ad uno stato mistico. Battiato prende le sue parole per esprimere concetti morali e esistenziali.
La canzone “Tao”, invece, è un chiaro riferimento alla cultura daoista, legata in qualche modo a visioni sciamaniche e mistiche.
Tao, ama secondo il Tao / Ritieni il seme / Duecentocinquanta milioni di spermatozoi / In un solo orgasmo / Un solo uomo può popolare la terra.
Anche ne “Il sultano di babilonia e la prostituta”, canzone cantata da Branduardi e Battiato, vediamo San Francesco incontrare l’Oriente islamico attraverso la figura del sultano per predicare.
Il confronto con il prossimo e il diverso
Con questo non voglio fare di Battiato un orientalista, se non altro perché il suo intento non era quello di far conoscere e di raccontare i fatti storici dell’Oriente. I suoi riferimenti sono un esempio di come abbia cercato di confrontarsi con il prossimo per trovare qualcosa in più di quello che siamo abituati a vedere.
Un atteggiamento non affatto scontato. Tempo fa, nel 1977, Edward Said, un grandissimo intellettuale, scrisse un saggio dal titolo “Orientalismo” con il quale rivoluzionò — o meglio, mise in crisi — il concetto di Oriente nella maniera in cui viene fuori dagli occhi degli occidentali.
In questa analisi dimostrò come contorta e distorta fosse la nostra visione dell’Oriente, fatta di stereotipi, ancora molto radicati, che ci trasciniamo dietro senza accorgercene. Idee che, in fin dei conti, sono frutto di una necessità dell’Occidente di trovare nell’altro (l’Oriente, per l’appunto) la sua legittimazione e una maggiore consapevolezza di sé.
Peccato che nel tentare di conoscere l’ altro lo abbia fatto sempre scrutandolo dall’alto in basso.
Ecco perché viene ancora più facile capire la magnificenza e il grande contributo intellettuale del maestro Battiato. Nobile è stato il suo approcciarsi a culture altre e cosi diverse, senza presunzione, dimostrando in fondo come non esistano mondi e realtà omogenei, compatti, in nessuna parte del mondo.
Per intenderci: la Cina non è solo autoritaria e fatta da automi, e il mondo arabo non è sinonimo di terrorismo e fanatismo religioso. Anche toccando terreni lontani, e diametralmente opposti, vi si possono trovare istante razionali, autoritarie, politiche accanto ad altre culturali, poetiche, filosofiche e identitarie. Insomma, umane.
E ringrazio Battiato per la delicatezza e l’intelligenza con cui hai saputo comunicarcelo, lasciandoci in eredità versi intrisi di insegnamenti indelebili.
Claudia Avena