Bohemian Rhapsody è la canzone che ritrae perfettamente l’estro di Freddie Mercury e l’anima dei Queen. Poliedrica, innovativa, fuori dagli schemi. Non poteva essere scelto titolo più adatto per un film biografico che narrasse delle vicende della band britannica e del suo leggendario frontman. La pellicola è stata distribuita worldwide dal 2 novembre, giungendo nelle sale italiane soltanto dal 29 dello stesso mese.
UNA PRODUZIONE TRAVAGLIATA
Rendere onore ad uno dei gruppi simbolo della musica mondiale non è stata di certo un’impresa facile. Difatti, la produzione è iniziata circa 7 anni fa sotto la benedizione di Brian May e Roger Taylor, che hanno collaborato sin dal primo istante alla stesura del progetto. Ma chi scegliere per interpretare Freddie? Nel 2013 Sasha Baron Cohen rifiutò definitivamente la parte per incomprensioni con i due membri superstiti della band.
La ricerca di un attore su cui pesasse la spada di Damocle relativa all’interpretazione di un’icona continuò, sino alla scelta di Rami Malek, celebre per essere il protagonista della serie Tv Mr. Robot. Le riprese iniziarono agli albori del 2017, periodo a cui seguirono altri problemi di percorso, come il licenziamento del regista Bryan Singer nel mese di dicembre, prontamente sostituito da Dexter Fletcher, seppur quest’ultimo non venga accreditato nei titoli di coda.
L’INIZIO DI UN’ESTETICA PERFETTA
Scena iniziale, siamo nell’anno 1985.
Un appena sveglio Freddie Mercury si trova nella sua villa londinese. Uno sguardo allo specchio, un’aggiustatina al caratteristico baffo, et voilà, eccolo a dirigersi verso la sua limousine. La destinazione è comprensibile: lo stadio di Wembley, dove si terrà il Live Aid, un mastodontico concerto nato per raccogliere fondi per combattere la povertà nel continente africano. Vi parteciperanno i maggiori artisti e gruppi internazionali, di fronte ad un miliardo e mezzo di telespettatori. I Queen non possono mancare. Ma è solo un flashback.
Si torna al 1970. Osserviamo un giovanissimo Farrokh Bulsara intenzionato ad uscire di casa per divertirsi. Si reca ad una serata dove suona un gruppo di tre giovani universitari. Due di loro sono il batterista Roger Taylor, aspirante odontoiatra, e il suo amico Brian May, studente di astrofisica nonché chitarrista. La sera stessa i due verranno abbandonati dal cantante. Indovinate chi si avvicinerà a loro per proporsi come nuovo membro?
Nell’immediato, a saltare all’occhio del fan esperto è l’incredibile somiglianza degli attori con i membri dei Queen. Questo fattore proseguirà durante tutto l’arco del film. La gestualità e la mimica sul palcoscenico di Mercury verranno magistralmente interpretate da Melek. Per qualche secondo vi sembrerà che Freddie sia tornato in vita.
Impressionante.
IL LATO OSCURO DI FREDDIE MERCURY
Ma la vita di Freddie Mercury non verrà riprodotta alla perfezione soltanto a livello estetico. Verrà posto l’accento non unicamente sul suo innato talento che si riflesse nelle straordinarie doti di performer, vocalist e compositore. Ci sarà un ritratto del lato umano del leader dei Queen, quello più fragile, più instabile, più sofferente. Dalle pretese egoistiche sull’evoluzione artistica della band sino alla descrizione della vita vissuta da esteta, composta da feste orgiastiche con abuso di superalcolici e cocaina. Insomma, abbandonate l’idea di una narrazione agiografica in cui si tessono le lodi dell’eroe di turno.
Bohemian Rhapsody è reale, pretende di far uscire dall’ombra il lato privato di Mercury, che sia la relazione pluriennale con Mary Austin, l’amore della sua vita, o la scoperta, sul finire degli anni ’70, della propria latente bisessualità. Spoiler: ci saranno delle scene in cui potreste commuovervi.
LA MUSICA AL CENTRO DEL RACCONTO
Bohemian Rhapsody non racconta esclusivamente del lato umano di Mercury, seppur lo spazio dedicato a lui sia prevalente sugli altri. D’altronde, i Queen erano in quattro, con il sottile sarcasmo all’inglese e l’intelligenza di May, l’atteggiamento scontroso di Taylor e la pacatezza di Deacon.
Non dimentichiamoci, però, che si tratta di un film basato sulla musica e su ciò che ruota attorno ad essa. Ecco allora che compariranno interessanti aneddoti al riguardo. La genesi che nel 1975 ha portato alla composizione, alla registrazione e alla pubblicazione di Bohemian Rhapsody sarà una delle parti più interessanti del lungometraggio. E ci farà capire come anche i grandi nomi abbiano corso il rischio di essere stroncati dalla critica.
Non solo. Come è nata We Will Rock You ad opera di May? Ed Another One Bites The Dust ad opera di Deacon? Lo scoprirete. L’apoteosi musicale verrà raggiunta sul finale, quando in maniera incredibilmente fedele verrà rievocata la performance al Live Aid. Il flashback iniziale trova il suo compimento.
PECCHE ED INCONGRUENZE
La pecca principale è, a mio avviso, la mancata raffigurazione di tutta la storia dei Queen. L’arco di tempo trattato va dal 1970 al 1985. Questa scelta può far storcere il naso a chi voleva venisse rappresentato anche il periodo in cui Mercury scoprì di essere affetto dal virus dell’HIV e di aver contratto l’AIDS, dal 1987, fino alla pubblicazione di Innuendo nel febbraio ’91 e la tragica dipartita a distanza di pochi mesi. Il problema è che nel film Mercury confessa di essere sieropositivo agli altri membri della band già nel 1985. Un’incongruenza attuata per romanzare su cui risulta difficile chiudere un occhio, a dovere di cronaca e di verità storica.
UN ESPERIMENTO DIFFICILE, MA RIUSCITO
Tralasciando imprecisioni biografiche di sorta, bisogna dire che i biopic sono degli esperimenti difficili per il cinema. Sia per la critica che per gli incassi, spesso non riescono ad ottenere il successo sperato. Perché? Perché si soffermano ad un racconto privo di emozioni di un determinato susseguirsi di eventi.
Bohemian Rhapsody, invece, non può non suscitare emozioni in un appassionato dei Queen. Quello era il suo compito primario. E pare l’abbia svolto meravigliosamente. Fidatevi delle mie parole: è stato davvero qualcosa di magico.
Francesco Forgione