Ci sono film che fanno bene all’anima, opere cinematografiche “terapeutiche” in grado di trasformare il mood da negativo a positivo attraverso la riflessione. Vedasi L’attimo fuggente, Will Hunting, Across The Universe, Nuovo Cinema Paradiso, Chiedimi se sono felice o Up (la maggior parte dei Pixar), solo per citarne alcune.
Green Book è sicuramente uno di questi ma non solo. L’Academy ha apprezzato molto la pellicola di Peter Farrelly, regista di varie (discrete) commedie, per lo più demenziali, come Scemo & più scemo, Io, Me & Irene, Tutti pazzi per Mary, Amore a prima svista. Nel 2019, probabilmente, firma la sua opera migliore, a mio giudizio, che potrebbe uscire vincitrice assoluta alla 91ª edizione de “La Notte degli Oscar“.
C’era una volta, in un quartiere italiano di New york…
È il 1962: l’America è in pieno periodo di razzismo, John Fitzgerald Kennedy vorrebbe cambiare il mondo, e nel frattempo, in un quartiere italiano di New York, un italo-americano di nome Tony Vallelonga (Viggo Mortensen) lavora in uno dei migliori club di New York. Dopo la sua chiusura, il talentuoso pianista afroamericano Don Shirley (Mahershala Ali) lo convoca offrendogli un lavoro come autista personale, per accompagnarlo in tour nel profondo sud, fino al Midwest. Ben presto i due, tra varie peripezie, instaureranno una forte amicizia.
Green Book, La guida per viaggi senza problemi
Il titolo Green Book si riferisce ad una guida tascabile che, negli anni Sessanta, elencava alberghi e locali lontani dai bianchi. Manuale poi consegnato a Tony Vallelonga, detto Lip, che secondo Don Shirley ha una innata abilità nel districarsi; effettivamente è così.
La trama, sicuramente semplice, racconta delle vicende in maniera delicata, con ironia, alternandole a momenti di brutalità. Tony e Shirley sono il vero punto di forza, due persone dal carattere totalmente opposto che, con il passare dei giorni, finiranno per imparare l’uno dall’altro. Ci troviamo così un Viggo Mortensen in forma splendida, capace di farci ridere anche solo con gesti ed espressioni. Tony è il classico buontempone italiano, un po’ ignorante ma in gamba, che cerca di non far mancare nulla alla famiglia. La sua vita cambia nel momento in cui Don Shirley lo fa contattare per offrirgli un lavoro ben remunerato.
Da menzionare il buon doppiaggio di Pino Insegno, che ha donato quel tocco in più allo stereotipato italiano “mangia spaghetti”.
Quel manichino è come lei
Don Shirley, grandissimo pianista dal talento innato, è invece l’opposto di Tony; Una persona elegante, raffinata nel linguaggio e nell’estetica, che cela una forte emotività dietro una maschera inespressiva e bottiglie di alcol.
Attraverso questi due differenti caratteri ci viene mostrato una specie di buddy movie on the road, da New York ad Alabama, raggiungendo i punti più retrogradi dell’America razzista e ipocrita. Una fotografia dettagliata degli Stati americani dove i neri possono lavorare, sì, ma senza godere dei medesimi diritti dei bianchi. Frequentare gli stessi bagni, mangiare nella stessa sala di un ristorante, senza aver mai superato quell’idea di schiavitù insita nella società.
Non sono mai abbastanza bianco, non sono abbastanza nero, allora dimmi tu, Tony, cosa sono?
Parole di forte impatto. Una scena confezionata alla perfezione da cui consegue un elevato pathos. Il buon Shirley visto male sia dai neri, poiché ben vestito e benestante, che dai bianchi offuscati da preconcetti ed ingiustificato odio. Il regista dirige in modo egregio i due attori, regalando una brillante lezione di linguaggio cinematografico e comico.
L’ARTE DEVE UNIRE
Nonostante il perbenismo diffuso, credo che Green Book sia un film assolutamente onesto nelle intenzioni. Non un prodotto realizzato appositamente per ingraziarsi gli giurati dell’Accademy, insomma.
La storia si perde un po’ nel finale, andando fin troppo oltre la morale. Ciononostante, rimane una bellissima pellicola contemporanea, miscelata da elementi comici, drammatici e musicali.
Spike Lee, che qualche anno fa aveva attaccato il sistema hollywoodiano per una considerazione minore degli afroamericani, ora può stare tranquillo, perché qualcuno ha dimostrato che, in realtà, il vero problema siamo noi ed i nostri preconcetti.
Non si tratta di politica, ma dell’intrinseco concetto dell’umano essere. Quanto sarebbe bello se tutti iniziassimo a rifletterci su, seriamente, senza nasconderci.
Alla fine resta un po’ di amaro in bocca, perché la vita non è un film, no, e “ci vuole coraggio per cambiare il cuore della gente”.
Emanuele Grillo