Lo spietato: Riccardo Scamarcio in un poliziesco anni ’70 by Netflix

Riccardo Scamarcio è più cattivo che mai nel nuovo film targato Netflix intitolato Lo spietato, disponibile nel catalogo streaming a partire dal 19 aprile.

Diretto da Renato De Maria, il film è tratto dal romanzo “Manager calibro 9” scritto da Pietro Colaprico e Luca Fazzo, ispirato a fatti realmente accaduti. Negli anni ’90 l’arresto di uno dei più potenti boss della malavita calabrese lo spinge a pentirsi e confessare circa vent’anni di criminalità. Dichiarazioni che hanno portato alla conseguente carcerazione di altre 166 persone. La pellicola segue l’intero percorso del protagonista, da quando ancora ragazzino finì in carcere per sbaglio, a quando, definitivamente coinvolto nella delinquenza, si sporcò le mani con ogni tipo di attività illecita, fra cui rapine, sequestri, omicidi, traffico di droga e riciclaggio.

L’intento del regista è stato sin da subito quello di omaggiare il genere poliziesco italiano anni ’70, e sotto questo punto di vista l’obiettivo è stato centrato. L’atmosfera richiama in ogni dettaglio quel periodo: i colori, gli arredamenti, le auto, gli abiti, la colonna sonora. Peccato per qualche pecca narrativa, che però non mina la godibilità finale del film.

Lo Spietato

LO SPIETATO: TRAMA

Santo Russo (Riccardo Scamarcio) è un ragazzo calabrese nato e cresciuto a Platì, piccola periferia dell’Italia meridionale. Il padre, affiliato alla ‘ndrangheta, dopo uno sgarro fatto ai danni di quest’ultima decide di trasferirsi con la famiglia in un’altra periferia, al nord, a Buccinasco in provincia di Milano. Un giorno, per errore, Santo finisce nel carcere minorile, all’interno del quale si trova ad avere a che fare con il mondo della criminalità. Da quel momento un vortice di delinquenza lo coinvolge progressivamente, e tra rapine, sequestri e omicidi mette in piedi un enorme traffico di eroina che lo porta alla ricchezza e all’affermazione sociale. Santo ha una moglie, dei figli, soldi, notorietà, persino un’amante, ma l’equilibrio precario della malavita, si sa, non è mai destinato a durare.

Lo Spietato

LO SPIETATO: ANALISI

ATMOSFERA

Rispolverate i pantaloni a zampa d’elefante, gli anni ’70 sono tornati!

I colori caldi, le fantasie optical, la carta da parati, il design d’interni, le auto, gli abiti, ogni dettaglio arricchisce l’atmosfera in cui il regista vuole farci immergere. I personaggi a tratti stereotipati e la colonna sonora in stile poliziesco conferiscono alla storia uno stile un po’ “cartoon”. In determinati momenti la sensazione è di star guardando la trasposizione cinematografica di un fumetto. Il risultato finale funziona, la serietà centrale degli avvenimenti è in qualche modo alleggerita dal suo stesso contorno.

CAST

Fra tutte le performance attoriali sono tre quelle che spiccano maggiormente. Le (due) donne che fanno parte della vita di Santo sono interpretate da Sara Serraiocco nei panni di Mariangela, la moglie devota e molto religiosa, e Marie-Ange Casta (sorella di Laetitia Casta) nel ruolo di Annabelle, l’amante francese. Le due attrici, al contrario degli altri personaggi, risultano estremamente vere nell’interpretazione dei loro ruoli. Ciò contribuisce a riequilibrare la pellicola, conferendole la serietà e l’attendibilità di cui a tratti risulta carente.

Viceversa, Riccardo Scamarcio è un protagonista convincente. La fase di tre metri sopra il cielo è ormai chiusa da tempo in un cassetto, l’attore ha dimostrato nel corso della sua carriera un talento che lo ha reso noto e richiesto in produzioni di livello nazionale e internazionale. Ironico e sopra le righe, il personaggio di Santo compie quotidianamente grossi crimini con leggerezza e superficialità e segue un’evoluzione che lo vede diventare, nel corso della storia, sempre più brutale e senza scrupoli. Interessante la mimica facciale che muta progressivamente con l’escalation di cattiveria del personaggio: di volta in volta l’espressione dell’attore si fa sempre più malvagia.

Lo spietato

DIFETTI E CONSIDERAZIONI FINALI

Fra tante note positive, però, una pecca non indifferente compare nel tessuto narrativo. Frequente l’uso della voce fuori campo del protagonista che spiega in prima persona i fatti, ma in determinati punti della storia ci sono dei vuoti fra una scena e l’altra, in cui non è del tutto chiara l’evoluzione di un evento. Momenti in cui forse il regista ha dato per scontato la comprensione da parte dello spettatore, ma che necessitavano di una maggior attenzione nello sviluppo.

Queste imperfezioni purtroppo abbassano il livello del prodotto, che appare di conseguenza “poco brillante” (per citare una battuta ricorrente del protagonista). Tuttavia, resta soddisfacente il percorso che il cinema italiano sta compiendo poco a poco, anche grazie a colossi come Netflix che scelgono di puntare su di esso. Lo spietato non sarà fra le migliori uscite della stagione, ma nonostante questo rimane comunque un buon intrattenimento.

 

Federica Brosca

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