Ci sono alcune figure caratterizzanti nella storia della cronaca nera americana: Theodore Robert Bundy è una di queste. Efferato stupratore e assassino durante gli anni ’70, sono riconducibili a lui circa trenta omicidi di giovani donne. Entrato nella cultura di massa americana (e non) grazie alla particolarità traumatizzante nelle modalità dei crimini commessi, fu condannato alla sedia elettrica dallo stato della Florida. La sentenza fu eseguita il 24 gennaio 1989. Bundy aveva 42 anni.
Ted Bundy – Fascino Criminale
Genesi del progetto, personaggi ed interpreti
Ted Bundy – Fascino criminale ha come titolo originale Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile, che fu la frase originale utilizzata dal giudice dopo la lettura della sentenza che lo destinava alla pena capitale. La sceneggiatura è liberamente tratta dal romanzo autobiografico The Phantom Prince: My Life with Ted Bundy di Elizabeth Kendall, ex ragazza del serial killer, che aveva convissuto con lui per alcuni anni. La regia è affidata a Joe Berlinger, già attivo nel campo dei docufilm.
A vestire i panni di Bundy è Zac Efron, che pare aver raggiunto la maturità necessaria per non essere più considerato l’eterno adolescente di High School Musical. Lo affiancano Lily Collins, nel ruolo di Elizabeth Kendall, Kaya Scodelario (la Effy di Skins), nel ruolo di Carole Boone, amica intima di Bundy, John Malkovich, nel ruolo del giudice Edward Cowart, e Jim Parsons (Sheldon di TheBig Bang Theory), nel ruolo del procuratore Larry Simpson. Da notare il cameo di James Hetfield dei Metallica come l’agente che per primo arrestò Bundy.
Il flashback inziale e l’assenza di background
Il prologo ci mostra una telefonata in carcere tra Ted Bundy ed una ragazza. Correva l’anno 1989. D’un tratto però, ci ritroviamo vent’anni indietro con le immagini. Siamo a Seattle nel 1969, in un pub universitario. È lì che Ted conoscerà Liz, giovane ragazza madre, per poi fidanzarcisi. Da quell’incontro si svilupperà la narrazione portante della pellicola, basata essenzialmente sul processo a Bundy e sulla relazione di odio e amore con Liz.
Il problema principale è solo ed esclusivamente uno e salta immediatamente all’occhio di chi è incollato allo schermo: la mancanza di introspezione. Non c’è un minimo di background riguardante la storia di Bundy prima del 1969. Non un accenno alla sua infanzia e adolescenza problematiche e travagliate, vissute nella prospettiva di essere figlio illegittimo. Joe Berlinger ha la presunzione che lo spettatore conosca di suo le vicende familiari del serial killer del Vermont e che, di conseguenza, non voglia esserne informato. O meglio, che abbia visto in maniera preliminare la sua miniserie su Netflix dal titolo Conversazioni con un killer: il caso Bundy.
Un lato tecnico soddisfacente
Se da un punto di vista della trama si può affermare che ci sia un buco narrativo di cui si sentirà il peso durante tutti i 108 minuti del film, altrettanto non può dirsi per il lato tecnico. La fotografia magistralmente eseguita, la riproduzione fedele dell’abbigliamento dell’epoca e l’utilizzo inedito di immagini di repertorio fanno sì che i Seventies vengano riprodotti sul grande schermo particolarmente bene. Scelta decisamente apprezzabile, prima dei titoli di coda verranno mostrati dei video originali del processo, delle interviste a Bundy e delle testimonianze di personaggi chiave come la madre di Ted e Carol Boone. Questo espediente, con ogni probabilità, è stato utilizzato per mostrare la fedeltà della sceneggiatura alla realtà dei fatti.
Ted Bundy e Il fascino del male: Dove?
Ma ciò non basta per rasentare la sufficienza. Nel film non c’è una scena che mostri il malsano fascino costituito dalla psicopatia del protagonista, se non in uno degli ultimi intermezzi in cui finalmente, in modo inquietante, questi confessa i suoi crimini a Liz. Qui il flashback iniziale trova il suo compimento.
In fin dei conti Ted Bundy – Fascino criminale è un susseguirsi di eventi incentrati fondamentalmente sul processo e sulla melensa storia d’amore con la fidanzata, che a tratti fa venire voglia di abbandonare la visione. Ancor peggio se si pensa che dal materiale a disposizione poteva fuoriuscire un biopic estremamente interessante e coinvolgente.
Infatti, le biografie sui serial killer riescono a stimolare quell’istinto primordiale costituito dal binomio di repulsione ed attrazione verso l’assassino, colui che è in grado di commettere delle atrocità in maniera tanto efferata pur riuscendo a restare impassibile e a sembrare un normale membro della società.
L’unico fattore che questa pellicola riesce a stimolare è il sonno. Un profondo sonno. Estremamente noiosa. D’altronde il film è totalmente esente da passaggi in cui Bundy commette un omicidio o in cui, al massimo, si possa presagire lo stia commettendo grazie all’utilizzo appropriato della suspense. Ed è questa la colpa maggiore attribuibile a Joe Berlinger: aver raffigurato un serial killer senza mostrarlo come tale. Che senso ha?
Francesco Forgione