Sul Joker diretto da Todd Phillips ed interpretato dall’immenso Joaquin Phoenix, già mesi prima dell’uscita ufficiale del 3 Ottobre, sono stati scritti oceani di parole. Complice la 76ª edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica che si è svolta a Venezia dal 28 Agosto al 7 Settembre. Momento in cui la pellicola è stata data in anteprima per la critica, vincendo il leone d’oro come il miglior film.
Individuare dunque una chiave di lettura meno inflazionata è praticamente impossibile, ma gli spunti giusti ce li offre lo stesso protagonista.
Da Heath a Joaquin.
Sarebbe bene comunque ricordare cosa è accaduto prima nell’universo DC, ma puntando unicamente la figura del Joker i riferimenti che abbiano un senso si riducono ad ‘uno’.
Dopo undici anni di idolatria totale e sottomessa al Joker del compianto Heath Ledger, la quasi totalità del pubblico ha dovuto rimodellare le proprie preferenze. Non si può entrare nel merito, non esiste un ‘migliore’. Esiste un ‘diverso’. Più coerente alla civiltà che ci circonda oggi, nonostante i fatti raccontati da Todd Phillips siano ambientati nei primi anni ottanta.
Mentre il primo ha dovuto ritagliarsi la propria figura all’interno di meccanismi atti a valorizzare e raccontare le vicende di Batman – riuscendo comunque a far esplodere una supernova in un contesto sì d’autore, ma ben al di sotto delle potenzialità poi realmente espresse – il secondo ha invece fatto i conti con la personalità del solo Joker, la sua storia, la sua vita, il suo buio.
Tutto ciò potrebbe far pensare che al buon Joaquin Phoenix gli sia andata di fortuna. Un film tutto incentrato sulla figura del protagonista che interpreta. La realtà dei fatti recita il contrario. L’attore americano espande l’universo intimo di Arthur Fleck fino a delinearne con accuratezza ogni sfumatura, nonostante la potenza dell’immedesimazione deflagri davanti agli occhi dello spettatore.
Joker è il risultato di quanto raccontato nella pellicola. Il reale primo ed unico attore è Arthur Fleck.
Contesti ‘storici’ e riferimenti originali al fumetto.
Bisogna dire che il Joker, in quanto personaggio di fantasia, si avvicina ai cento anni. Estrapolarlo dal suo contesto originario e innestarlo continuamente in altri più contemporanei ha spesso prodotti abomini. In questo caos si riprendono i tratti generici di una Gotham fumettistica in uno spaccato tra presente e passato: decadenza è il termine che modella meglio l’idea.
Una grande metropoli sommersa dai problemi. Il primo è rappresentato dai diciotto giorni di mancata raccolta dei rifiuti ma proseguendo nel racconto si vedranno: l’enorme differenza tra ricchi e poveri, agiati e disadattati, il disinteresse dei primi contro l’afflizione dei secondi. In un turbinio lento ed inesorabile che porta alla violenza, alla criminalità dai tratti non propriamente comuni.
Tutto ciò che molti ricorderanno della città di Gotham prima dell’avvento di Batman.
Arthur Fleck.
In questo scenario si descrivono alcuni passaggi cardine che porteranno Arthur Fleck ad accettare il ruolo di Joker. Quasi come fosse una conseguenza, un abito cucito su di lui da ‘altri’, fino a renderlo un lavoro sartoriale, preciso, sopraffino e inevitabile.
Arthur sbarca il lunario lavorando in una compagnia di Clown. Pubblicità viventi per strada e apparizioni negli ospedali per intrattenere i bambini sembrano essere le sue uniche attività. Il suo sogno è diventare uno stand-up comedian e si prepara costantemente per questo. Prende appunti, scrive barzellette, studia gli altri artisti.
L’incomprensione e il disinteresse diventano presto cattive compagnie con cui dover convivere. Eppure non saranno le sole.
La vita di Arthur è incatenata alla madre malata, all’insoddisfazione e alle difficoltà quotidiane. Lui è un invisibile. Un invisibile che genera di per sé le interazioni che non ha o che intimamente gli sono sempre mancate.
Gli intrecci con la famiglia Wayne.
Tranquillo caro lettore, non ti spoilero nulla, ti basti sapere che la sceneggiatura non è solo concentrata a generare un mostro e dipingergli una realtà alterata come sfondo. Anche se non fosse stato Joker, anche se non fosse stata Gotham, tutto avrebbe funzionato ugualmente. In tutta sincerità si sarebbero risparmiate anche quelle poche critiche ricevute, eludendo il fattore ‘cinecomics’ che qui è inesistente.
Ad ogni modo la vita di Arthur Fleck si intreccia a quella della famiglia Wayne in maniera indissolubile, ma non per effetto auto conclusivo, anzi, l’opposto.
Questo dettaglio è pura sfumatura di stile, ma si rende necessario al fine di chiudere un cerchio narrativo molto noto. Joker diventa la discriminante assoluta del ‘romanzo di Batman.
Ridi, fuma, danza.
Il film pare suggerire una catena di eventi tutti imputabili alle azioni del Joker. Non può essere così. Quanto accade non è il risultato delle sole azioni deviate del protagonista. Sarebbe riduttivo e giustificativo nei confronti degli altri ‘colpevoli’.
Contesti di protesta cittadina, prima pavida poi feroce, disuguaglianze economiche e culturali. Non il caso ha generato tali coincidenze, ogni attore si carica il demerito di quanto aiuta a costruire e tutto converge sulla figura di un pagliaccio. Il pagliaccio.
A tutto questo si associano chiare inflessioni psicopatologiche. Magistralmente portate alla vita da Joaquin Phoenix. Prevalente la risata isterica, disumana, inquietante di cui lo scheletrico Arthur percepisce ogni attimo di dolore che gli provoca. Non solo: la sigaretta, la gestualità del fumo, l’indice ormai ingiallito dal tabacco ed infine il manierismo della danza.
Le uniche condizioni che l’Arthur uomo riesce a decifrare analiticamente.
Fumare simboleggia la stasi, ovvero i momenti in cui non è afflitto, almeno apparentemente, dal suo antagonista più malvagio, cioè l’angoscia. Quell’angoscia che si manifesta attraverso fragorose e incomprensibili risate. Un atteggiamento che gli è incontrollabile, racchiudendo in sé mille condizioni e diversificazioni. Raramente isolate, sempre più spesso trasversali.
Ben presto farà la sua apparizione anche la danza come a chiudere un trinomio imprescindibile. Essa indica la sublimazione, l’attimo in cui Joker esprime il suo sereno godimento, la conclusione, un’affermazione.
Non c’è luce per chi vive nel buio.
Joker di Todd Phillips ricostruisce la figura del peggior nemico di Batman senza poterlo e volerlo nominare nemmeno una volta. Per fortuna questa pellicola non è stata pensata per essere un ‘cinecomics’. La decadenza del personaggio, che rinasce grazie se non soprattutto a Joaquin Phoenix, è il vero sacro graal del film. Lo spaccato sociale e psicologico di Arthur Fleck resteranno per molti anni indelebilmente impressi nella percezione che il pubblico avrà della figura di Joker, immerso in una condizione tanto umana da proiettarlo quasi al di fuori di ogni schema prevedibile. Una perla.
Mario Aiello