The Slow Rush, la nuova fatica dei Tame Impala uscita il giorno di San Valentino, a distanza di quasi cinque anni da Currents, tra miriadi di pubblicazioni sicuramente è quella passata meno inosservata. Anche perché si era in attesa di ascoltare i pezzi da circa un anno, dopo l’uscita del primo singolo Borderline (datata 12 aprile 2019).
Non si stava più nella pelle dunque pensando al quarto lavoro in studio di Kevin Parker & co. Tuttavia, avuta la possibilità di ascoltarlo, il disco ci ha un po’ mandato in confusione. I fan, soprattutto, si sono divisi tra chi ha apprezzato l’opera e chi, invece, ne è rimasto deluso. Sicuramente c’è molto da dire ed analizzare riguardo queste dodici tracce che aggiungono un nuovo tassello nell’universo della band australiana.
Tra gli addetti ai lavori ed i seguaci incalliti il mese di febbraio ha significato una sola ed unica domanda: com’è The Slow Rush, il nuovo disco dei Tame Impala?
The Slow Rush
L’idea che ha mosso la realizzazione dell’album è stata l’ammirazione del leader nei confronti di Cent’anni di solitudine, il romanzo di Gabriel Garcia Márquez. Una scelta certamente non casuale, dato che ugualmente nel libro il tema principale è la fugacità del tempo delimitato.
Il primo aspetto che salta all’occhio, più che all’orecchio, in modo immediato è l’impostazione circolare dei dodici pezzi. Il disco ha inizio con One More Year e si conclude sulle note di One More Hour. Una costruzione molto interessante che preannuncia il tema principale su cui si basa il concept album: il tempo. L’alternanza di parole come “instant”, “posthumous”, “tomorrow” e “yesterday” lancia l’ascoltatore attento in un viaggio tra passato e presente.
Con The Slow Rush Kevin Parker inserisce nel percorso della band una storia intima e personale. C’è una riflessione sul passato e le cicatrici che ognuno porta dietro e non spariranno neppure nel futuro. I ricordi di tempi andati restano indelebili e ti abbandonano nella perdizione di Lost in Yesterday. Probabilmente, l’intento spirituale che ha mosso la realizzazione del lavoro è stata proprio una sorta di esorcizzazione e superamento del passato.
Al centro di questa situazione di bilico da saltimbanchi si colloca la nostalgia di un tempo destinato a non ritornare. Ed allo stesso modo, la presa di coscienza di situazioni e vicende che non si ripeteranno.
La malinconia e l’attenzione nei minimi dettagli sul tempo sono il filo conduttore di un progetto ambizioso. Per quanto concerne il sound, invece, il discorso si fa decisamente più complesso. A differenza dei precedenti album, in questo caso, i Tame Impala hanno sperimentato oltre i loro stessi limiti.
Chi ascolta le dodici tracce si ritrova a compiere lo stesso viaggio sognante del cantante. È evidente un cambio repentino e continuo, ma conservando la propria caratteristica individualità. Si passa da pezzi con influenze dance anni Ottanta, come Is It True e Glimmer, a riecheggi dell’acid house con Breathe Dancer. I pezzi lenti non mancano, come On Track oppure Posthumous Forgiveness sempre marchiati dallo stile Tame Impala.
Alcuni brani non sono stati graditi dal pubblico, considerandoli meno imponenti rispetto ai lavori precedenti. Tuttavia, il disco nel complesso non è di minore impatto. Piuttosto non è immediato, abbisogna di un lasso di tempo maggiore per essere digerito.
Borderline è sicuramente il brano cuore di The Slow Rush. Non ha assolutamente nulla da invidiare alle canzoni che hanno reso negli anni celebre la band australiana, tra cui Feels Like We Only Go Backwards e The Less I Know The Better. Tra l’altro, sebbene meno marcata rispetto a quest’opera, anche nei due pezzi citati poc’anzi il fulcro è questa nostalgia temporale.

Com’è allora il nuovo album dei Tame Impala?
Non nascondo di aver avuto problemi a farmi un’idea definita e precisa del nuovo lavoro dei Tame Impala. The Slow Rush è sicuramente un altro centro al bersaglio della band. Su questo non ci sono dubbi. Molti fan hanno etichettato le canzoni talvolta musicalmente ridondanti. Bisogna ammettere che forse qualche brano leggermente più debole è presente. Non si può non notare, però, l’accuratezza nella scelta dei suoni in ogni minimo passaggio. I testi impeccabili sono l’aspetto più incisivo, a mio avviso. Nel complesso, la storia raccontata stringe le anime solitarie in una sorta di abbraccio immaginario.
Una cosa che consiglio è di non fermarsi al primo ascolto. Si tratta di un lavoro a cui dedicare attenzione per essere assaporato nella sua essenza. Solo in questo modo può essere realmente apprezzato. Insomma, è un viaggio che va fatto. Ovunque voi siate, preferibilmente soli con cuori spezzati e distrutti, regalatevi quest’ora di magica perdizione.
Assunta Urbano