Abe Kayn è un giovanissimo cantautore (classe ‘92) che dopo il Senegal, la Toscana e la Liguria e si è trasferito a Milano dov’è iniziata la sua ascesa.
Nato e cresciuto tra note musicali, esordisce dal 2016 con importanti produttori ed inaugura uno stile che lo renderà unico nel suo genere: un sound particolarissimo e ricco di sfumature che evocano i toni più disparati.
Tra i tanti collaboratori ricordiamo il rapper Vegas Jones e il produttore Lekter ma non meno importanti sono Big Fish e Jake La Furia con i quali collabora per il suo primo EP “Niente da perdere” (2019).
Abe Kayn è fermo da allora. Quando tornerà? Glielo abbiamo chiesto in questa intervista!
- In “Mama eh” dici di essere il principe dell’afrotrap. Ti identifichi in questo genere? E, se tu sei il principe, chi è il re?
Ma no, si tratta di ego trip. Mi considero un artista che fa musica, un cantante che ha così tante influenze da non poter essere categorizzato in un solo genere musicale. Cerco di tirar fuori tutti gli stimoli che ho assorbito nei tanti luoghi in cui ho vissuto.
- Hai detto di aver avuto tante influenze. Tra queste, quali sono quelle che ti hanno segnato di più e che ti sono state d’ispirazione?
Sicuramente Booba, un rapper francese di origine senegalese. Sono andato a vederlo a Bruxelles perché, purtroppo, qui in Italia è poco conosciuto. Poi, Maître Gims che è un cantante e rapper congolese. Sono cresciuto con Yossou Ndour, un cantante senegalese pazzesco che lancia messaggi molto forti che riguardano soprattutto l’Africa.
Loro tre sono quasi degli dei per me.
Ovviamente ce ne tanti altri che influenzano tantissimo la mia musica: vanno dal rap puro, alla trap, all’afrobeat. Non solo vivono in diversi Stati ma anche in diversi continenti come Europa, America e Africa.
- Per quel che mi riguarda, devo ammettere che l’influenza del sound francese si percepisce tantissimo.
Sì, è verissimo. Ascolto tantissima musica del contesto francese e sicuramente traspare anche nei miei pezzi.
- In Savana Boy, però, dici che i rapper sono nocivi, come le gazzelle. È una cosa che pensi realmente?
Quella è una canzone di sei anni fa. In quel momento ero appena arrivato a Milano ed ero pieno di rabbia: era il momento di farsi vedere. Non mi conosceva ancora nessuno e per emergere dovevo provocare. Si tratta più di egotrip che di altro.
- E com’è stato arrivare a Milano?
Non è stato per niente facile. Non conoscevo nessuno, i primi tempi sono stato in un ostello e mi perdevo sempre nelle metro. È stata tosta però mi ha formato tanto, ho imparato a non mollare mai, ad andare avanti.
- Come ti sei avvicinato alla musica?
È stato un processo quasi spontaneo. La musica è stata sempre presente nella mia vita, fin da quando ero piccolo. Sono sempre stato l’unico tra i miei amici ad ascoltare rap e in maniera del tutto naturale ho iniziato a comporre testi.
- Nei tuoi testi, infatti, la componente autobiografica è molto evidente. Che rapporto hai con la scrittura?
Anche la scrittura è stata una costante nella mia vita. A scuola andavo molto bene in italiano, facevo degli ottimi temi e ho partecipato a dei concorsi. Una volta ne ho vinto uno con un haiku, un tipico componimento giapponese.
Scrivere vuol dire essere libero, almeno per me. Sento di poter esprimere tutto quello che mi passa per la testa: dall’egotrip a una ragazza che ho incontrato, al razzismo, al rapporto con La Spezia.
Scrivendo posso dire tutto quello che è stata e che è la mia vita con la musica.
- Nella maggior parte delle canzoni, le parole sono dense di significato, mai banali. Il sound, al contrario, evoca una certa leggerezza.
Il mio obiettivo è far divertire veicolando dei messaggi. L’ascoltatore può usare la mia musica per divertirsi e per ballare ma quando andrà a riascoltarla capirà che all’interno di una base a primo impatto danzereccia ci sono degli spunti di riflessione importanti.
Nel mondo della musica ogni persona ha la possibilità di riflettere, di rispecchiarsi in alcune parole, di capire che non è sola.
Naturalmente ci sono artisti che fanno solo divertire e altri che lanciano solo messaggi.
Il mio intento è quello di unire le due cose.
- Le tue collaborazioni hanno riscosso un incredibile successo: da Jack la Furia ad Amill Leonardo, da Vegas Jones a Paskamam, solo per citarne alcuni. Ma cosa ne pensi dei featuring?
Tutte le collaborazioni che ho fatto, hanno avuto un significato importante ma nonostante questo, ammetto di preferire lavorare da solo. Sono un tipo un po’ solitario e mi è difficile aprirmi soprattutto quando si parla di arte. Credo comunque che per un artista siano molto rilevanti perché permettono di ampliare il proprio bacino d’utenza del cantante, il suo pubblico.
- In “Niente da perdere” paragoni i tuoi sogni alla cenere. Oggi, sono ancora cenere?
Si sono avverati a metà. Ho la fortuna di fare musica (che è quello che mi piace), di aver collaborato con artisti che mi piacciono, di avere un contratto. Ci sono ragazzi che non hanno potuto combattere per realizzare -o iniziare a realizzare- il proprio sogno, quindi per me va benissimo così.
Ma sono una persona che non si accontenta mai e mi sarò totalmente realizzato solo quando realizzerò a 360° il mio sogno.
- Sempre a proposito di questa canzone, qual è la cosa che mi più ti fa paura perdere?
La musica, lei ha priorità su tutto.
- Che progetti hai per il futuro?
Ne ho tantissimi, sempre. Sono eclettico, mi do da fare, mi preoccuperei se non avessi progetti.
Il primo sicuramente è fare uscire dei nuovi pezzi. Ne ho circa quattordici già pronti che usciranno non appena sbloccheremo dei problemi contrattuali.
Poi vorrei crescere ancora di più a livello musicale perché so che posso fare di più. Infine vorrei riuscire a realizzare dei progetti musicali in Italia e in Senegal.
Santina Morciano