La notizia era nell’aria da tempo, subodorata da addetti ai lavori ed appassionati di questa band, e non è esclusivamente riconducibile all’imperante emergenza Covid.
Il Teatro degli Orrori non esiste più: la comunicazione ufficiale arriva, a mezzo social, direttamente dal frontman ed anima del progetto Pierpaolo Capovilla.
«Ciao a tutte e tutti. Il Teatro degli Orrori non esiste più. Lo sapevate già, ma io ho preferito tacere, nella speranza che le circostanze mutassero in qualche modo. Ma la vita a volte non va come si desidera o ci si augura. Tutto ciò mi spiace e mi addolora ancora. Sono consapevole di avere le mie belle responsabilità, ma in tutta franchezza non credo siano solo le mie che hanno indotto la band verso il triste epilogo. Neanche un po’. Credo altresì sarebbe davvero inelegante da parte mia venirvi a raccontare cosa è accaduto. Non sarebbe che il mio punto di vista, e varrebbe solo in termini personali. Cioè nulla.
Anyway, non mi do per vinto, e continuo il mio percorso artistico e professionale. Da un paio d’anni lavoro ad una nuova band. […] La vita continua, e meno male. In questo momento storico è più che mai necessario opporre una resistenza convinta e convincente allo scivolamento autocratico delle condizioni politiche e sociali in cui viviamo. La musica popolare, e il rock, che tutti noi amiamo, non lo determineranno ma possono contribuire ad un cambiamento sociale, nel segno dei valori democratici che ci uniscono e che da sempre ci fanno sentire un po’ meno soli e un po’ meno inutili.
E per favore, se potete e se vorrete, mettete al bando i pettegolezzi, i rumori di corridoio, le insinuazioni. Non servono a niente. Ciò che davvero serve, io credo, è la comunione di intenti. Perché la musica, la buona musica, ci infervora, ci rende battaglieri, ci dà forza e voglia di cambiare le cose, nella nostra vita particolare e in quella del consorzio umano nel quale insistono le nostre esistenze. La vita è breve. Non sprechiamone neanche un minuto. Un abbraccio partigiano. ppc»
Spiegazioni esigue, alcune importanti certezze: ci sarà altra musica e non bisogna alimentare chiacchiericcio. L’istrionico cantante e bassista (negli One Dimensional Man) non rinuncia alla sua estetica linguistica neanche in un momento così triste per i tanti fan che sono rimasti folgorati da questa esperienza artistica a suo modo unica in Italia, durata quindici anni.
L’importanza del Teatro degli Orrori
Rock dinamitardo e riferimenti culturali esplosi come ordigni durante un bombardamento: la band veneta, che già nel nome segna intenti importanti, citando le sperimentazioni teatrali di Artaud, ha rappresentato l’ultimo baluardo di una tradizione italiana pluridecennale, fatta di impegno e di prese di posizione forti.
Idee corroborate da una tecnica del suono rigorosa: nei quattro dischi in studio (più uno split con ZU, roba parecchio forte) tutti firmati da La Tempesta, Il Teatro degli Orrori ha saputo plasmare un muro del suono dalle solide fondamenta ritmiche curate da Francesco Valente alla batteria e Giulio Ragno Favero al basso. Spalle solidissime che hanno permesso a Gionata Mirai (ed anche a Nicola “Bologna Violenta” Manzan, nella breve collaborazione col gruppo) di sfoderare linee di chitarra frenetiche, al tempo stesso dolci, melodiche, incazzate e violente.

Sentirli dal vivo era come prenderle di santa ragione, con performance che soprattutto nel tour di “A Sangue Freddo” hanno toccato punte di qualità elevatissime. La fine del concerto coincideva col proscioglimento di una delle ultime forme di liturgia rock che il panorama alternativo ha saputo produrre.
Suono, ma soprattutto parole: i riferimenti a Baudelaire, Majakovskij, Huxley, Esenin e la lotta partigiana (solo per citare alcune tematiche frequenti) si sprecano, e grande merito va riconosciuto nel raccontare, con sacrosanta incazzatura, la morte drammatica del poeta nigeriano Ken Saro-Wiwa.
C’era anche la sensibilità chirurgica di scavare nel proprio intimo con precise stilettate, arrivando a recitare un sentito mea culpa quando la situazione tra due persone arriva al punto di farsi maledire.
Dalla musica del Teatro degli Orrori c’era tanto da imparare, c’era tutto quello che una persona deve provare ad interiorizzare per sviluppare una coscienza sociale: cultura, sentimenti, impegno, violenza, empatia, rabbia, pace.
Forma e sostanza racchiuse in un Carrarmatorock che ha cannoneggiato in lungo e largo per lo stivale, lasciando agli annali un’estetica dell’arte che difficilmente troverà repliche in questa scena musicale. Vuoi perché senza la dimensione live canzoni così hanno vita difficile, vuoi perché l’interesse degli ascoltatori e le tendenze stanno prendendo direzioni diverse.
Ode al Teatro degli Orrori.
Giandomenico Piccolo