Nelle ultime settimane Katy Perry sta catalizzando attenzioni da tutto il mondo, non tanto per l’ultimo lavoro discografico Smile, quanto per aver dato alla luce la piccola Daisy Dove avuta da Orlando Bloom. Parto e pubblicazione in soli due giorni, 26 e 28 Agosto. L’istrionica cantante californiana, come si muove, genera hype trasversale: dal gossip alla critica di settore; dalla moda alla comicità. Un dono che pochi artisti al mondo possono vantare così come lei, vista da tutti quale beniamina di buon umore, bellezza e bravura ricercata ma di semplice matrice. Ma a noi non ce ne può fregar di meno. Oggi parliamo dell’aspetto più squisitamente musicale.
Le dodici tracce di Smile sono chiamate a riscattare il poco appeal riscontrato col precedente Witness del 2017. Dal punto di vista del richiamo pop votato all’enorme senso di orecchiabilità, già il primo singolo Never Really Over, risalente al Maggio del 2019, ha messo subito in chiaro il concetto. Qualora fosse necessario. Il connubio tra linee melodiche di facile intuizione e testi con argomentazioni a tratti anche molto profonde è un tratto peculiare della produzione di Katy Perry. La cantante di Fireworks riesce a mescolare suoni e parole traendo il meglio da entrambi, sempre a metà strada tra brani scanzonati e allegri, o ballad struggenti e impegnate. Il traino – e che traino! – è servito. Un anno e qualche mese prima che Smile venisse pubblicato. Applausi.
Il titolo dell’album non è per niente messo lì a caso. Smile è il messaggio che, pur contraddistinto da diverse sfumature, riecheggia durante la riproduzione. Da qui, infatti, oltre al perno musicale, si dirama il contributo visivo intitolato “The Smile Video Series”. Una serie di video (e ri-video) delle canzoni che vedono Katy Perry, spesso in versione cartoon o fumetto, ripercorrere le tappe del disco, aggiungendo qualche indizio atto a chiarire la chiave di lettura con la quale interpretare taluni passaggi. Applausi moltiplicato due.
È il caso, tra le tante, di Cry About It Later. Ispirata da sonorità disco-pop con predominanza di cassa in quattro. Ricordare a se stessi che c’è tempo per poter piangere una mancanza o una difficoltà apparentemente insormontabile. Nel frattempo è meglio lasciarsi andare e cogliere le cose positive che ci si parano davanti, facendolo a tempo di musica.
Segue Teary Eyes, a conferma del trend che caratterizzerà l’intero LP ma, più in generale, emblema di ogni singolo album della cantante celebre in ogni angolo del globo. Se prima a comandare il ritmo è stata la grancassa, qui per buona parte lo scettro passa alla voce che da sola si prende la scena e la mantiene per quasi un minuto. Poi parte del carisma passa al “clap” e al rullante. Per i meno avvezzi, è come spostare la cadenza da un punto A verso un punto B, un movimento ritmico naturale che, quando accentuato, spinge al “movimento ordinato”. Questo fino al ritornello, dove invece cori e struttura canonica lavorano in simbiosi cucendo una trama malinconica e introspettiva. Nonostante qui Katy Perry sembri arenarsi parzialmente sulla ridondanza delle motivazioni che possono riempire gli occhi di lacrime. Ha scritto di meglio e in giro c’è di molto peggio.
Segue Daisies, terzo dei quattro singoli finora estratti, senza contare i già citati “The Smile Video Series”. Nella canzone si racconta, attraverso metafore ed analogie, lo spirito prorompente della forza interiore che si manifesta in ognuno di noi quando è inderogabile ricostruirsi in seguito a forti contrasti ed edificare qualcosa di solido. Daises e Daisy, sua figlia, sono strettamente connesse, anche nel video è ben visibile il pancione di Katy Perry e non sarà l’unica apparizione. Cosa si prova in quei momenti e di cosa parli in modo intrinseco questa canzone ce lo può spiegare nel dettaglio solo una neo mamma che naviga a vista in mezzo a mille scazzi. Noi altri possiamo solo immaginarlo ma non serve Nostradamus per carpirne la potenza.
Resilient da prova di un approccio musicale coerente, eppure di più ampio respiro nel contesto di questo nuovo Smile. Attributo, la coerenza, imprescindibile nella produzione dell’autrice americana. Il brano si instrada, assieme a tutti gli altri, su un percorso di crescita umana e personale che porta in dote un tratto di maturità artistica riconoscibile. Ancora una volta la gestazione assume un ruolo vincente, a conti fatti. Si percepisce che qualcosa ha cambiato l’immagine che un po’ tutti abbiamo di Katy Perry. Nonostante ciò, a lei resta la bravura di approfondire e migliorarsi senza snaturare il suo stesso personaggio. Il tema della resistenza psicofisica ed emotiva guadagna un altro rappresentante, sottolineando quanto questo aspetto sia importante in Smile.
Not The End Of The World strizza l’occhio alla trap statunitense più comunemente intesa, almeno per quel che concerne armonia e scelta di sonorità. Manca la strofa rap pura, ma la linea melodica e ritmica utilizzata ne danno la sensazione. Morbida e orecchiabile nel ritornello. Forse non tra le migliori della selezione.
Ma ci si rifà all’istante con Smile. La canzone ci catapulta in una “pupazzesca” avventura interattiva dal chiaro sapore musicale di fine anni novanta. Un inno a non perdere il sorriso che può essere sia la scintilla per accendere il fuoco della reazione che la mèta da tenere sempre viva davanti agli occhi per spronarsi a superare ogni avversità. Tutto bellissimo, ma superpoteri del genere sappiamo essere ad appannaggio di pochissimi tizi al mondo, e chissà perché sono sempre ricchi e belli.
Champagne Problems, per certi versi, fa proprio il verso a questo aspetto pur restando nell’ambito sentimentale del più classico dei classici intrighi lui/lei. Chi nella vita non vorrebbe avere problemi di champagne? Meglio che pensare al pigione o alle bollette, se non di peggio.
Menzione speciale per Tucked. Il video identifica pienamente il profilo surreale dell’interpretazione dal testo. Vale la pena vederlo. Per il resto non brillerà tra gli astri dei capolavori della storia, ma è melodiosa e si lascia ascoltare. Con qualche chicca per orecchi fini.
È tempo del secondo singolo estratto ormai poco meno di un anno fa, si tratta di Harleys In Hawaii. Il modo di Katy Perry di intendere la sensualità e farla esplodere nelle sue mille declinazioni. In relativa controtendenza rispetto alla maggior parte dei brani dell’LP, ma magari il momento storico in cui è stata scritta ha giocato un ruolo non trascurabile. In tal senso, se antecedente alla famosa gravidanza, tutto acquisisce significato e chiude un cerchio aperto con la capostipite Never Really Over.
Le ultime fatiche di Smile sono rappresentate da Only Love e What Makes A Woman. La prima del tutto trascurabile, mentre la seconda nonostante una verve decisa non riesce, a mio avviso, a tirare fuori tutto il suo potenziale implodendo nelle mani dell’artista come un impasto che smette di lievitare sul più bello.
A parte la metafora da galera, l’idea è quella. Peccato. La conclusione, il dolce, non è all’altezza di tutto il resto che è invece godibile, interessante e gradevole per un ascolto molto rilassato e senza grandi aspettative. Il messaggio positivo che permea l’intero disco, di questi tempi, aiuta parecchio soprattutto se percepito il relazione alla forma musicale “alla” Katy Perry, che non guasta mai. Il percorso di crescita risulta più marcato in Smile rispetto a quanto tentato a più riprese da altre celebri colleghe della Perry, penso subito a Taylor Swift che non ha saputo sfruttare al meglio le proprie peculiarità come ha invece fatto la neo mamma di Santa Barbara.
L’appannato Witness è riscattato. È sempre una gioia ascoltare musica semplice ed immediata, quando fatta bene. Smile è un buon disco, se paragonato ai suoi diretti competitor potrebbe addirittura diventare discreto. Sicuramente Katy Perry ha una marcia in più quando si trova nel suo habitat naturale e qui ce ne dà dimostrazione non tralasciando (quasi) nulla. Complimenti anche al marketing visivo speso per il progetto. Ormai i “singoli” non sono intesi più come una volta. Gli stessi dischi sono diventati pacchetti di fumo. Costruire un contesto video come ha fatto lei per accompagnare la musica è davvero un ottimo spot.
Mario Aiello