Chi fa da sé fa per tre.
Marco Giudici è l’emblema di questo proverbio: dopo aver trascorso buona parte della sua esistenza artistica collaborando nell’ombra per altre produzioni, ha deciso di mettersi in proprio pubblicando “Stupide cose di enorme importanza”, il suo esordio solista per 42Records.
Vedere questa label firmare un’opera prima già la dice lunga, il disco è stato molto chiacchierato in primavera e giunge su queste pagine con colpevole ritardo perché non abbiamo tutti la stessa cura di qualcosa che ci viene affidato. In ambito giornalistico come in generale nella vita.
Purtroppo.
Marco Giudici –“Stupide cose di enorme importanza”
Non tutti i mali vengono per nuocere.
È proprio vero che c’è un proverbio per ogni evenienza: inserirsi sulla coda lunga della vita discografica di questa release permette di analizzare l’opera sotto una luce e con una sensibilità completamente differenti rispetto ad un primo momento. E c’è da dire che la qualità di quanto racchiuso nell’album non risulta minimamente scalfita dal susseguirsi delle stagioni.
Stupide cose di enorme importanza è il mio primo disco di musica cantata in italiano, […] parla di me e delle persone intorno a me, ho cercato di farlo in modo semplice, partendo da solo ed includendo persone man mano che prendeva forma. Quindi è qualcosa che nasce dalla solitudine e poi impara ad affidarsi, come è successo a me nel corso del processo di lavorazione.
Marco Giudici è mio coetaneo, ed a quanto pare oltre che l’anno di nascita condividiamo un bel po’ di scazzi mentali, forse per affinità di idee, molto più probabilmente perché ogni età ha i suoi casini.
In questi nove brani le parole dicono molto senza mai dilungarsi in superflui barocchismi, mentre le note spaziano dalle influenze di Chet (Baker e Faker, con eguale peso specifico) sconfinando i territori dell’ambient che il più recente Nicolas Jaar ha esplorato con perizia. La costruzione delle canzoni è fatta di molti micro elementi: il tutto è più della somma delle singole parti, e diventa una bella sfida decostruire quanto viene captato dai timpani.
La vera forza dell’artista lombardo è nella poetica: il cantato abolisce gli eccessi gravitando tra Battisti e Calcutta. I decibel non sforano mai i limiti di un limbo che può solo dare conforto, per una terapia d’ascolto sui ricordi e le persone che decidono di andare via.
Ora che le giornate si accorciano ed i cuori si appesantiscono, il senso di “Stupide cose di enorme importanza” viene amplificato lasciandoci fare i conti con quanto ci attanaglia. Perché come recita il titolo di questo long play, la nostra condanna è sbattere il muso contro quegli elementi talmente infinitesimali da risultare il drammatico distinguo tra un “Perfect Day” (citando Lou Reed) e l’ennesimo tassello di un’ordinaria sconfitta.
Sono sicuro di aver appena metabolizzato un disco che caratterizzerà l’autunno e l’inverno di molte persone, io ci sono arrivato con un po’ di ritardo ma non per colpa mia.
Nonostante tutto, forse è un grazie da far recapitare.