Un anno senza cultura. Quanto ci è mancato il Teatro

A distanza di un anno dalla chiusura dei teatri si sono sollevate delle proteste pacifiche aggiunte allo sgomento, l’attesa e la rabbia dei lavoratori dello spettacolo che si vedono negare la possibilità di rientrare a lavoro.

L’associazione UNITA (Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo) ha lanciato pochi giorni fa l’iniziativa “Facciamo luce sul teatro”, a cui hanno aderito i teatri italiani, portando avanti un gesto simbolico ma di grande significato: illuminare i teatri vuoti per fare luce su un pezzo di società e cultura italiana che è stata dimenticata.

Da poco si è dato il via libera all’apertura dei musei, mentre per i teatri (ed i cinema) si è scelto di tenerli chiusi, nonostante non vi sia nessuna evidente differenza in termini di sicurezza rispetto ad altri luoghi adibiti all’intrattenimento. Pensiamo ad esempio ai salotti dei reality o di programmi televisivi, oppure anche ad edifici come le chiese.

Tutte le misure adottate per questi spazi, infatti, e di cui adesso si parla nell’eventualità di una riapertura generalizzata, sono le stesse che le sale teatrali avrebbero impiegato da subito senza grandi sforzi. Ma non si è voluto procedere. Un’ingiustizia che andava evitata.

La cultura è dunque da considerarsi l’ultima ruota del carro? Non a caso, così è stata battezzata l’iniziativa del “Coordinamento spettacolo Lombardia”, che ha lanciato una sfida su due ruote, da Milano fino al palco dell’Ariston, dove si giungerà il primo marzo, alla vigilia del Festival di Sanremo, per rimarcare i disagi vissuti.

Facciamo luce sul teatro

“IL TEATRO SI FA, NON SI DISCUTE”

(EDUARDO DE FILIPPO)

 

Nell’attesa di un Dpcm, ci chiedevamo: cosa succederebbe se i teatri riaprissero. Si ritornerebbe in sala? In fondo ciò che serve ad un teatro è il suo pubblico.

La questione “teatri chiusi” ha aperto un dibattito culturale interessante che fa riflettere sul valore che noi, cittadini italiani prima di tutto, diamo alla cultura. La riapertura dei teatri, infatti, non significherebbe solo dare giustizia ai lavoratori dello spettacolo, ma alla cultura stessa, di cui il teatro ne è una sua espressione. Con il dibattito avviato, chiediamoci in quanti, in un anno, si sarebbero recati a teatro e quanti lo faranno.

Si apriranno due possibilità: per gli ottimisti, ci sarà una rivalutazione del teatro. Forse, l’entusiasmo di chi da sempre lo ama trascinerà con se anche i curiosi che penseranno di fare qualcosa che non avevano mai fatto prima; per i pessimisti, invece, andare a teatro continuerà ad essere un’abitudine non abbastanza consolidata nel nostro Paese e forse, nonostante la sicurezza dei luoghi, vista la situazione che continua ad essere critica, non verranno considerati così necessari.

A giudicare dai numeri di qualche anno fa, circa il 40% degli italiani aveva dichiarato di essere andato a teatro. Una discreta percentuale, ma pur sempre sotto la media, e soprattutto risultava un afflusso di persone comprese tra i 40 e 55 anni. Insomma, si tratta di un pubblico piuttosto standard e, dunque, è evidente che il teatro non è tra le prime scelte che l’italiano predilige, e che non sia un tipo di intrattenimento diffuso tra i giovani. 

RE- INVENARSI PER UNA RIFORMA DEL TEATRO

 

A questo punto vien da chiedersi se fosse necessario “re-inventarsi”. Non c’è dubbio che il teatro non deve e non può farsi scappare l’occasione di avere i riflettori puntati. Bisogna fare in modo che prenda qualcosa di buono da questa lunga attesa e sacrificio. “Peggio di questa crisi c’è il solo il dramma di sprecarla” ha detto papa Francesco.

Il teatro deve essere pronto e allo stesso tempo preparato a proporsi per attirare il pubblico, magari sperimentando sceneggiature nuove ed alternative, dando spazio a compagnie finora poco pubblicizzate ma che spesso sono le più interessanti in termini di innovazione e sperimentazione. Bisogna puntare su spettacoli di qualità, dando risalto, accanto ai grandi nomi che garantiscono certo un minimo assicurato (da Shakespeare a Pirandello), anche a quelli minori.

Molti, inoltre, considerano il teatro, erroneamente, come qualcosa d’élite, dimenticando la sua natura popolare.  Ciò avviene perché in molti casi il prezzo del biglietto è eccessivo. Questo se si considerano soprattutto i teatri dell’Opera. Confrontando, invece, i prezzi dei teatri e spettacoli “minori” un biglietto si aggira in media intorno ai 15 euro.

EDUCARSI ALLA CULTURA

EDUCARSI ALLA CULTURA

 

Non è solo il teatro che deve mettersi in discussione, ma noi stessi. Se capissimo il valore del teatro quel prezzo del biglietto non ci costerebbe tanto.

L’umorismo non ha prezzo”, diceva Totò.

Dovremo rivalutare il teatro, ma per farlo c’è bisogno di educarsi ed essere più sensibili alla bellezza. Tutta la politica deve impegnarsi perché la cultura non passi in secondo piano. Soprattutto finanziandola come merita. Inoltre, non da meno è il fatto che di teatri se ne trovino solo nelle città, mentre in piccole realtà non ci sono o fanno poca fortuna. I cinema, per intenderci, li abbiamo anche in un paese di seimila abitanti.

Dovremmo imparare ad avere consapevolezza di un patrimonio culturale che molti ci invidiano e di cui andare orgogliosi.

Il teatro, luogo di musica, danza, risate e commozione, deve ritrovare quel ruolo nobile di educare, e noi dobbiamo rivalutare la sua sacralità e curarla.

Ricordarci dei benefici che il teatro, strumento di coesione sociale e confronto, sperimentatore di linguaggi, rappresentazione della natura umana, porta con sé.

Ri-conferirgli il suo antico ruolo catartico e di “kàtharsis”.

Diceva l’amato Gigi Proietti, che ha dedicato la vita al teatro ,e come lui tanti: “Nella totale perdita di valori della gente, il teatro è un buon pozzo dove attingere”. Varrà la pena ascoltarlo.

Claudia Avena

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