Impattare la vista, lasciandosi ispirare dalle sensazioni che arrivano all’udito.
Si può sintetizzare così la creatività che spinge Andrea Spinelli, milanese classe ’90, a rendere visibili le fascinazioni che più lo colpiscono. Illustratore, ma soprattutto live painter: sono oltre 500 i concerti ritratti dal vivo in questa prima porzione di carriera, che hanno definito sempre più un registro espressivo in cui il colore è elemento imprescindibile, in tutte le sue sfumature.
Perché quando si tratta di abbinamenti cromatici e di accostamenti con l’ambiente discografico, Andrea Spinelli non si pone freni di alcun tipo e si immerge totalmente nel momento, riuscendo, poi, a cristallizzarlo, visibile e condiviso, con capacità di mimesi ed una sensibilità rara. Ne abbiamo parlato col diretto interessato nella chiacchierata che trovate di seguito.

Andrea Spinelli – Intervista
- Ciao Andrea, raccontaci com’è iniziato il tuo percorso di illustratore e come sei riuscito, nel corso del tempo, a renderlo un’attività a tempo pieno.
Ciao! È cominciato tutto quasi per gioco…mi trovavo a un concerto con un amico, ero abbastanza distratto e sovrappensiero quando ad un certo punto mi accorgo di avere in tasca un taccuino e una penna. Qualcosa a quel punto è scattato nella mia mente e d’istinto mi sono messo a ritrarre su quel taccuino la band che si stava esibendo. Non fui molto contento del risultato perché la cosa accadde in modo così naturale che la ritenni di poco conto; il mio amico però intercettò quello sketch e ne rimase enormemente sorpreso ed entusiasta. E altrettanto lo rimasero i musicisti nel backstage. Mi accorsi in quel momento che avevo gettato le basi per un percorso che poteva essere molto particolare e stimolante. Così cominciai a fare questo per vari locali e concerti e…il resto è storia.
- Il tuo tratto, il tuo uso dei colori è immediatamente riconoscibile. Come sei arrivato a definire questo tuo registro espressivo? È stata una scelta ponderata oppure è un modo spontaneo di realizzare le tue opere?
Rispondo ad ambedue le domande così: la spontaneità ha da sempre definito il mio registro espressivo. Anche se, ammetto, all’inizio un’impronta stilistica la ricercai ispirandomi molto alla sintesi visiva di Picasso e lasciando emergere tutta la cultura legata al fumetto che ho divorato da piccolo: Dylan Dog e quindi Corrado Roi e Bruno Brindisi, Sergio Toppi, Milo Manara. Il tempo e i 500 concerti che ho ritratto dal vivo negli anni hanno plasmato la mia identità artistica pennellata dopo pennellata.

- Una delle attività che preferisci è sicuramente il live painting, una dimensione che purtroppo nell’ultimo anno e mezzo è stata difficile da attuare. Quali sono le sensazioni di questo approccio e in cosa differisce dal processo creativo più “solitario”?
Questa è una domanda molto bella, e sono felice tu me l’abbia posta. Nell’ultimo anno e mezzo è stata una sofferenza, lo ammetto, ma anche un’occasione per fermarmi e ridefinire alcune lacune che dovevo riempire. La pittura in studio ti permette questo: è più “meditativa”, ti prendi i tuoi tempi e puoi dedicarti ai dettagli magari ascoltando la tua musica preferita in sottofondo comodamente seduto al tavolo da lavoro. Il live painting invece è una vera e propria performance soggetta non solo a tutte le variabili ambientali che ti circondano (il clima, il setting, la presenza o assenza di persone attorno a te) ma anche alle tempistiche. Specialmente nel mio caso la tempistica è fondamentale poiché io ritraggo per lo più cose che stanno accadendo come concerti o eventi.
Quindi, in conclusione: painting e live painting sono due realtà molto differenti legate fondamentalmente da un unico elemento, ovvero l’atto di dipingere.

- In Italia sembra esserci una scena molto vivace, costellata di illustratori/disegnatori che spesso sfruttano le vetrine social per diventare virali e far arrivare i propri lavori a quante più persone possibili. Purtroppo però sembra ancora un settore “di nicchia” rispetto al grande pubblico generalista. Cosa ne pensi di questa situazione?
Credo che il senso di “nicchia” di cui parli sia dovuto alla natura stessa dell’illustrazione: è un’arte visiva che, se non è legata a uno storytelling molto forte o a un prodotto/brand impattante, difficilmente può diventare virale. Molti disegnatori hanno trovato la loro dimensione parlando di temi sociali (vedi ad esempio Zero Calcare o Cartoni Morti), altri facendo tutorial o trovando un loro linguaggio.
C’è una forte saturazione sui social riguardo l’illustrazione. Ci sono tante proposte, molte delle quali spesso confondibili con l’offerta già presente. Insomma, non è proprio facile distinguersi, ma devo dire che se trovi la tua identità i social sono un enorme trampolino di lancio per il tuo lavoro di disegnatore.
- Quali sono le opere più significative, quella cui tieni particolarmente, di questi anni di carriera?
Ce ne sono davvero tante. Ciò che ha dato valore ad esse sono stati sicuramente i retroscena. Mi ricordo il ritratto dal vivo che feci a Daniele Celona a Parco Tittoni: ce lo giocammo a braccio di ferro ma purtroppo finì patta; altri ricordi bellissimi sono legati all’incontro con Samuele Bersani e Antonella Ruggiero, persone meravigliosamente umili e curiose oltre che artisti enormi. Ma l’opera che mi ha dato di più nel realizzarla forse non è un dipinto: è il video animato di “Piazza Grande” che ho realizzato per Tosca. È un’artista gigantesca che ha voluto credere in me fin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati. Le sono profondamente grato e l’esperienza che ho vissuto nel realizzare questo videoclip mi ha dato davvero molto.
- Hai mai pensato di collaborare alla realizzazione di qualche graphic novel o di albi dove le tue illustrazioni diventassero parte di una storia da raccontare?
È un’ottima idea sai? Pensa che la prima forma d’arte alla quale mi sono approcciato è stata proprio il fumetto quando ero alle elementari. Poi nel corso delle superiori ho abbandonato quel linguaggio per esplorarne altri (come la musica, ad esempio). È stato un bellissimo percorso e non mi dispiacerebbe tornare a mettermi in gioco con una graphic novel.
- Quali progetti sono in cantiere per il prossimo futuro?
Ritornare a fare live painting: ho lavorato tanto in studio in questi mesi, ora ho proprio bisogno di tornare a fare eventi. Non ce n’è, quella è la mia dimensione, mi sento a casa quando lo faccio perciò voglio tornare a farlo il prima possibile cercando però di evolvere alcuni aspetti. Ad esempio mi piacerebbe molto lavorare con le videoproiezioni, come ho fatto questa estate con L’Orchestra Dei Colli Morenici di Mantova: abbiamo fatto diverse date in location suggestive, mentre loro eseguivano il loro repertorio a tema Ennio Morricone io dipingevo dal vivo videoproiettando il mio operato sullo sfondo. Che meraviglia, se ci ripenso ho ancora i brividi dall’emozione!
- Riuscirai mai a fare a meno dei colori nella tua arte? Anche solo come sfida in una singola occasione
La gente spesso mi chiede perché mi vesto sempre di nero – in effetti lo faccio quotidianamente, inverno o estate che sia. Io rispondo scherzosamente che lo faccio “perché i colori li metto tutti sulla tela”. Un po’ è vero però: io sono una persona un po’ inquieta (nel senso di non quieto, mai fermo) e i colori sono il mio modo per viaggiare nel mondo e scoprirlo in tutta la sua bellezza. Quindi no… non credo potrò farne a meno. Mai.
“Musica Metodica #1”: una compilation il cui artwork è stato curato da Andrea Spinelli:
Musica Metodica #1, la compilation celebrativa di Metodica Records