I Virtual Time sono usciti il tre Giugno col nuovo A-gò-gi-ca. Da qui in avanti, per evidenti motivi ‘tecnico-googleistici’, l’album verrà chiamato semplicemente Agogica. Non ce ne vorranno i ragazzi di Bassano del Grappa, immagino.

Agogica: tre di cinque, perché?
L’idea che si nasconde dietro la pubblicazione di Agogica, come terza parte di un progetto più grande, è stata spiegata direttamente dai Virtual Time. Dopo From The Roots To A Folded Sky e Animal Regression, siamo giunti alla chiave di volta del concept che prevede la pubblicazione di cinque ‘EP di ampio respiro’. In riferimento alla mission non sono dei veri album, ma lo sarebbero se nessuno avesse detto nulla in principio. L’LP vero e proprio sarà distribuito al termine delle uscite programmate entro l’anno. Sarebbe il loro terzo lavoro full lenght ma sui termini e sui significati con i Virtual Time è meglio non essere pignoli, lo suggerisce proprio il termine “agogica”.
Consultiamo un attimo il buon Devoto-Oli.
Agogica è l’elemento musicale (ma non solo, volendo guardare il pelo nell’uovo) ultra individuale e soggettivo che si accorpa a tutto il resto al fine di generare un flusso sonoro che non sia solo ritmo, grigio e asettico, ma un movimento altamente perturbabile e, per questo, realistico ed emozionante secondo le sensazioni di chi lo esegue e di chi lo percepisce. Spero di essere riuscito a quadrare la forma astratta dell’emotività che si prova a far venir fuori. Alla band riesce benissimo strumenti alla mano, io a parole faccio fatica.
Cosa attendersi dunque?
Molto rock declinato in tutte le salse, suscettibile dalla discriminante dell’orecchio che sente. I Virtual Time dichiarano influenze tipo Led Zeppelin, The Black Keys, Coldplay e, mi commuovo solo a leggerlo, Creedence Clearwater Revival. Una chicca assoluta. Ovviamente io ci ho trovato ben altro, lo vedremo tra poco con la solita panoramica sulle tracce.
Virtual Time – Agogica: le tracce.
Anticipo solo che ogni brano è completamente avulso dal concetto ‘strofa-ritornello etc etc’. La struttura canzone, qui, non esiste mai e non se ne sente la mancanza.
Pronti via si parte con Nowhere Land. Folk sulle prime poi piglio rock non avvilente, e non me l’aspettavo avendo sentito al volo i lavori precedenti del quartetto veneto. C’è tanto spazio per gli arpeggi di chitarre, basso come si deve e qualche innesto di synth. La voce in auge con merito e tutti ordinati sui paradigmi della batteria. So che probabilmente si arrabbieranno per l’appunto ma sul finale siamo in completa fase “The Who” come se non ci fosse un domani. Adoro il citazionismo musicale.
Numero due, Falling Away. Restando in tema di richiami, un sussulto mi riporta alle sonorità meno antiche dei The Black Angels. Ma in definitiva è solo un vacuo suggerimento perché l’impostazione vocale è un omaggio a Nick Cave e scusate se è poco. Ad ogni modo nessuna bussola fornita dai Virtual Time segna sempre e comunque il nord magnetico. Tutto cambia e si sviluppa secondo questo teorema: ciò che il pezzo chiama, va suonato.
Personalmente apprezzo e ammiro chi compone fuori dagli schemi, comunque coerenti con l’anima della produzione. D’altronde parliamo del terzo atto su cinque di una pubblicazione prevista in dodici mesi. Non siamo proprio su assiomi canonici.
Subtle Echoes. Poco meno di un minuto per accompagnare l’ascoltatore da un punto A ad un punto B.
Alla base delle fortune di Moonshadows c’è sicuramente l’uso di vocalizzi finemente armonizzati. Le dinamiche all’interno del pezzo sono spesso ribaltate e con reprise a volte fulminei. La chiusura sottolinea almeno cento volte l’intento di iper pathos, passatemi il termine, tipica di Johnny Cash.
Altro intermezzo. Close To Reality è novanta secondi circa di puro ambient e suoni (forse) campionati. Poche note a corredo, il rigo di canto che serve la causa e un ukulele (?) in sottofondo. Magari sbaglio.
She è a mio avviso la medaglia d’argento di Agogica. C’è del Bowie qui e non sono proprio certo che lo abbiano compreso mentre la scrivevano i cari Virtual Time. Il duca bianco è la vera ispirazione che ha permesso la composizione del pezzo. L’ho arbitrariamente battezzata così. Stavolta pure la melodia lirica fa leva al richiamo facile, ma dalla seconda parte in poi, quando di Bowie non vi è più traccia. Finale al cardiopalma.
A Night In Paradise potrebbe essere la canzone ideale da frapporre alle due migliori, secondo me, dell’intero LP. Meno di due minuti coadivuati da arpeggi. Poco concreta, per esseri sibillini.
Distant Shores è il brano che acchiappa malamente, la medaglia d’oro. Volutamente scritto e arrangiato per essere così. Fiore all’occhiello le pochissime pause spiazzanti che caratterizzano un ascolto isterico nella forma ma estremamente cullante nei contenuti. Sono italiani e da come suonano, per cosa suonano, non lo sembrano affatto. Si va bbè, viva l’Italia, ma in questo caso che sembrino ‘stranieri’ è detto nel miglior senso possibile.
Il nostro tempo virtuale volge al termine.
Il concept dei Virtual Time ha sicuramente il pregio di voler sparigliare le carte sul tavolo. Pubblicare cinque album in un solo anno è un’impresa e farlo come lo stanno affrontando loro, cioè cercando di dare un taglio definito per ogni uscita, lo è ancor di più. Agogica è la chiave di volta, sia ‘geometricamente’ che musicalmente e lascia enormi prospettive per i restanti due. Solo la fantasia potrà porre dei limiti alla missione sonora. Ah, è un gruppo a tre componenti e un po’: chitarra, basso, batteria e mezza chitarra dal cantante. Struttura che adoro.
Mario Aiello