SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano è la docu-serie Netflix disponibile in streaming dal 30 dicembre 2020.
Attraverso l’analisi dei fatti, dei processi, le testimonianze di ex ospiti ed immagini di repertorio si ripercorrono gli avvenimenti e le vicende che trasformarono le stalle di un podere di campagna in provincia di Rimini nella più grande comunità terapeutica per tossicodipendenti d’Europa e – parallelamente – Vincenzo Muccioli in uno dei personaggi più amati e controversi del secolo scorso.
Il documentario giunge in un periodo storico in cui l’eroina è tornata prepotentemente di moda. Il ripercorrere di alcuni eventi può dunque giovare ad una eventuale – ed auspicabile – discussione pubblica sul tema.
I Contenuti di questo Articolo:
SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano
Trama e Cast
L’originale serie documentaristica del gigante californiano, affidata all’ottima regia di Cosima Spender, scritta da Carlo Gabardini, Paolo Bernardelli e Gianluca Neri, e prodotta da quest’ultimo per 42, è strutturata in 5 episodi di circa un’ora ciascuno.
La dicitura docu-serie potrebbe trarre in inganno. È utile dunque chiarire subito che Sanpa non è un prodotto seriale per come siamo abituati ad intenderlo. Mancano infatti ricostruzioni dove figurano attori. Si tratta a tutti gli effetti di un documentario a puntate in cui vengono ripercorsi circa 20 anni di storia del nostro Paese: dal 1978, anno della fondazione della comunità di San Patrignano, al 19 settembre 1995, giorno in cui avvenne la morte di Vincenzo Muccioli.
La Nascita, la Crescita, La Fama, il Declino e La Caduta: queste le rotte seguite nei singoli capitoli. 5 momenti in cui vengono rappresentati fatti ed eventi attraverso immagini pubbliche e private di Muccioli (tra i ragazzi in comunità, ai processi, alle ospitate in tv), testimonianze dirette, interviste ad ex membri di San Patrignano e racconti di persone vicine al fondatore (come il figlio Andrea o l’amico Red Ronnie).
Una storia italiana del ventesimo secolo di cui si sa poco e male, che accende i riflettori su un problemi serissimi e delicati come uso di droghe e tossicodipendenze, su cui si è forse voluto porre un velo, lasciando che il tempo ne offuscasse i ricordi.
SanPa: cosa accadde a Coriano (RN) tra gli ’80 e i ’90
«Il Miracolo non è quando spunta un fiore. Il miracolo è quando un fiore spunta da una pianta morta. A San Patrignano c’era la feccia della società. E lì vedi il miracolo»
Red Ronnie
Le parole sono pietre, ce lo ricorda Carlo Levi. Quelle utilizzate nella parte finale di questa citazione da Red Ronnie non sono condivisibili, e probabilmente risultano le meno adatte a rappresentare le persone che frequentavano la comunità fondata da Vincenzo Muccioli.
I miracoli si costruiscono su solide basi e con la comunità di San Patrignano è stato realizzato qualcosa di positivo. Non v’è dubbio, le luci sono palesi, guai a negarle.
Tuttavia, non tutto ciò che splende è davvero prezioso; e l’intento di SanPa è mettere in risalto anche l’altra faccia della medaglia, inducendo lo spettatore a riflettere su accadimenti passati. Le ombre, alcune molto pesanti, sulle quali ci si sofferma durante la visione, smentiscono alla radice l’opinione del noto conduttore. Lo sbilanciamento a cui tende e si espone lo si può attribuire in larga misura al rapporto d’amicizia che lo legava al Muccioli.
Ad ogni buon conto, pur volendole attribuire al campo delle opinioni personali, si tratta pur sempre di affermazioni indimostrate, fuorvianti e oltremodo indelicate.
Definire degli individui di diversa estrazione sociale – giovani in prevalenza – la feccia della società per le loro debolezze è altamente offensivo. Squalifica chi lo sostiene, dimostrando inoltre su quali basi è costruito il giudizio.
I tossicodipendenti, rispetto all’immagine temibile veicolata da media e chiacchiericcio popolare, sono soggetti fragili, con problematiche alle spalle di diverso tipo ed origine. Possono diventare pericolosi, è vero, ed in alcune circostanze sono accaduti fatti gravissimi, ma le generalizzazioni hanno spesso come radice l’ignoranza. E davanti ad alcuni problemi ignorare che esistano è un buon modo per non affrontarli.
SanPa: Le Luci di San Patrignano
Erano gli inizi degli anni ’70 e l’eroina faceva il suo ingresso nelle città d’Europa ed in Italia, trascinandosi dietro morte e disperazione. Muccioli capì il momento che si stava vivendo e approfittando di un vuoto politico ed istituzionale sul tema – tipico della storia repubblicana italiana su problematiche di interesse diffuso – seppe guadagnarsi uno spazio notevole nel dibattito nazionale. Sostanzialmente è da qui che prende il via la narrazione del documentario ideato da Gabardini, Neri e Bernardelli.
Le luci a cui si fa riferimento in SanPa sono lampanti. Si tratta delle vite salvate dalla strada, dalla rovina, dalla morte. Il fondatore di San Patrignano con la sua comunità ha restituito un sorriso a centinaia di famiglie sull’orlo del baratro, la speranza ed un futuro nuovo, diverso, a migliaia di giovani e disperati, altrimenti destinati ad una fine certa.
Li ha recuperati grazie a forti iniezioni d’amore – controverse per molti aspetti – e l’impegno quotidiano. A molti ha fornito una ragione concreta per andare avanti. C’è chi ha imparato un mestiere e chi ha completato o proseguito gli studi. Due tra gli intervistati, ex membri di San Patrignano, si sono laureati durante quegli anni continuando a svolgere la propria professione all’interno della comunità.
Che Vincenzo Muccioli abbia fatto del bene a tantissime persone è – con la chiave di lettura proposta – innegabile e lodevole allo stesso tempo. I problemi sorgono quando si va a verificare e definire come abbia ottenuto alcuni risultati. Ed è qui che SanPa apre uno squarcio nell’opinione pubblica, con gli scottanti passaggi sulle ombre.
Le ombre sulla più grande comunità d’Europa
Le accuse rivolte a Vincenzo Muccioli e alla sua comunità, inizialmente, avevano ad oggetto i metodi utilizzati, ritenuti violenti, coercitivi e limitativi delle libertà personali.
Ma un tossico per salvarlo devi fermarlo, costi quel che costi. Questa l’obiezione principale per giustificare le catene e sulla quale si fondava il principio alla base della terapia: Impedire alle persone di farsi del male. Visione largamente condivisa dalle famiglie degli ospiti, finché non vennero fuori gli abusi perpetrati nel tempo, alcuni dei quali tremendi.
Il Processo delle catene (terapeutiche), i suicidi di alcuni tossicodipendenti (emblematico è il caso di Natalia Berla) e l’omicidio di Roberto Maranzano minarono alle fondamenta l’idea stessa di comunità. Le tenebre su San Patrignano calarono con veemenza e si propagarono rapidamente.
Finché il numero degli ospiti fu contenuto nell’ordine di poche centinaia, Muccioli riuscì a gestire in prima persona tutte le situazioni, potendo contare su una ristretta cerchia di collaboratori fidati che fungevano da assistenti. Con l’esplosione di richieste d’ingresso a San Patrignano, le file ai cancelli, verso la fine degli anni ’80, la situazione divenne pesante. Si ricorse ad un sistema piramidale di controllo, organizzato su base gerarchia, con in cima il fondatore, che veniva costantemente informato sugli avvenimenti. Da questo momento in avanti iniziano a complicarsi ulteriormente gli eventi.
Macelleria e Manutenzione si erano trasformati in reparti punitivi, proprio come accade in un lager. Alfio Russo fu ritenuto (e condannato come) esecutore materiale dell’omicidio Maranzano. Il caso fece scalpore poiché il corpo dell’ex-ospite fu ritrovato in Campania, nella discarica di Terzigno in provincia di Napoli. Ad oltre 500 km di distanza da San Patrignano.
La Terapia di San Patrignano
La Terapia applicata a San Patrignano non prevedeva utilizzo di farmaci né l’intervento di professionisti del settore (psicologi o psicoterapeuti).
Muccioli riteneva che le cause della tossicodipendenza fossero da ricercare nella personalità dei ragazzi che chiedevano aiuto. Bisognava scavare a fondo nell’animo e trovare il buono insito in ognuno, abbattendo il marcio.
Una cura demolitiva e rigenerativa. Il problema è che una volta fuori da San Patrignano questi ragazzi ci ricascavano a pie’ pari, non essendo analizzata nessuna delle cause che li spingevano a drogarsi.
E dunque si era costretti a ritornare in comunità, perché la terapia era la comunità.
SanPa: Ex Ospiti ed Intervistati
I fatti in SanPa vengono snocciolati partendo dai racconti di amici di Muccioli e soprattutto da ex tossicodipendenti, alcuni dei quali divenuti fedelissimi del fondatore di SanPa. Le testimonianze principali intorno a cui ruota l’intera ricostruzione possono circoscriversi a 3 ospiti in particolare:
- Fabio Cantelli. Filosofo, portavoce di Muccioli ed ufficio stampa della comunità, che dei tre appare forse il più fragile. Dalle sue parole si evince la riconoscenza nei confronti di Muccioli ma anche la netta condanna di alcuni comportamenti, dai quali si dissocia. Fabio in comunità trova la sua realizzazione personale, prima laureandosi in filosofia e successivamente occupandosi delle pubbliche relazioni di San Patrignano. Negli anni diventa una figura cardine all’interno dei complessi rapporti tra stampa e una parte della opinione pubblica.
- Walter Delogu. Autista personale e braccio destro di Vincenzo Muccioli, racconta di una storia iniziata bene conclusasi con tanta amarezza. La terapia, la fiducia e la valorizzazione personale. Un giovane disperato tirato su come un figlio al quale, con gli anni, vengono attribuite numerose responsabilità. Walter è il primo membro di San Patrignano ad avere una figlia (Andrea) da una compagna di comunità. Gli incarichi nel tempo diventano sempre più delicati, uno dei quali gli costa la galera. Sopraggiunge la volontà di uscire dal circuito, di farsi una nuova vita fuori. Da lì nascono i contrasti. Delogu, all’interno della narrazione dei fatti, è il personaggio che meglio rappresenta le ombre in SanPa. La cassetta dei veleni è solo l’epilogo di una storia che avrebbe dovuto muoversi su altri binari.
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Antonio Boschini. Medico e responsabile terapeutico dell’Ospedale di San Patrignano. Ex tossico e spacciatore, come Cantelli anch’egli trova la sua dimensione nel mondo in comunità. Muccioli lo tira letteralmente fuori dal giro, lo accoglie, lo cura e gli dona la forza di laurearsi in medicina. Comincia a lavorare presso l’ospedale voluto dal fondatore di SanPa, dove esercita attualmente. Rispetto agli altri, Antonio Boschini ha una posizione più orientata ad esaltare i meriti della comunità che ad evidenziarne le ombre.
Andrea Delogu e San Patrignano
Andrea Delogu, nota conduttrice italiana, è nata nel maggio del 1982 a San Patrignano, ove ha vissuto fino all’età di 10 anni, prima di esser costretta a scappare insieme ai genitori. È stata la prima nata in comunità. All’interno di SanPa sono presenti anche un paio di sue testimonianze, immagini che la ritraggono felice durante i festeggiamenti di compleanni. Dichiara di aver vissuto un’infanzia abbastanza serena, circondata da affetto, dove non le è mancato nulla, pur essendo cresciuta in luogo insolito per una bambina.
Un idillio durato finché i rapporti tra il padre ed il fondatore della comunità sono stati pacifici. Quando Walter ha iniziato a capire di voler cambiare aria, a richiedere una vita diversa, fuori da quel recinto, sono venute fuori tutte le tensioni. Poi è arrivata la fuga. Con gli anni Andrea si è resa conto che in quel luogo dove era stata felice qualcun altro, meno fortunato di lei, aveva trascorso un inferno.
Vincenzo Muccioli: vita, morte e miracoli del fondatore della comunità di San Patrignano
In una società impreparata ad affrontare problemi delicati come la tossicodipendenza, una persona come Vincenzo Muccioli può assumere il ruolo di risolutore o, per acclamazione popolare, di Salvatore della Patria e dei popoli.
Tant’è che il suo nome e l’idea di comunità terapeutica, ad un certo punto della storia, magicamente diventano una cosa sola. La comunità era la cura ed il leader di San Patrignano era la comunità. Uno e trino, come solo i Salvatori sanno essere.
La testimonianza di Paolo Villaggio
All’interno di SanPa c’è anche un breve ma significativo estratto di un’intervista a Paolo Villaggio, il quale si era rivolto a Muccioli per i problemi di tossicodipendenza del figlio Piero.
«Io penso che qualche schiaffo che Muccioli può aver dato – schiaffo benedetto – sono quegli schiaffi che noi, purtroppo, padri progressisti non abbiamo avuto il coraggio di dare».
Paolo Villaggio (1984)
Gli schiaffi che i padri progressisti non hanno avuto il coraggio di dare è forse una delle affermazioni più potenti ed efficaci contenute in SanPa. Racchiude e semplifica in buona sostanza tutti i discorsi sulle ragioni del consenso popolare che Muccioli era riuscito ad ottenere, ad ogni livello. Non una questione sociale insomma, ma culturale. L’eroina era il nemico che i genitori borghesi non sapevano fronteggiare, avendo abdicato alle cattive maniere di un tempo.
L’impotenza derivante dal dolore di trovarsi al cospetto di un figlio, un fratello o un amico tossicodipendente può far perdere lucidità anche le menti più brillanti ed affilate.
Il Rapporto con la politica ed i Moratti
L’idea di comunità realizzata da Vincenzo Muccioli è stata sostenuta finanziariamente – e non solo – da Gianmarco e Letizia Moratti. Negli anni il rampollo milanese e sua moglie pare abbiano donato somme di denaro pari a circa 280 milioni di euro. Una cifra davvero ragguardevole.
L’appoggio di una famiglia influente come i Moratti ha probabilmente agevolato in un certo senso l’ascesa mediatica di Muccioli, diventato nel tempo un personaggio richiesto non solo dalle tv e dai giornali, negli speciali dove veniva contrapposto all’antagonista Pannella, ma anche un interlocutore dalla politica nazionale. San Patrignano, infatti, è stato considerato un catalizzatore di consenso, per cui si è assistito a passerelle di esponenti politici in visita alla comunità per raccattare qualche voto, in vista delle elezioni.
Le accuse di Violenza
La violenza a San Patrignano veniva considerata un fatto strutturale, sistematico, non episodico come si cercava di lasciar intendere nelle note e nelle comunicazioni rilanciate sulle emittenti televisive e sui quotidiani di tutta Italia. Una comunità patriarcale, basata sul rispetto di ordine e disciplina, con picchiatori, squadre punitive e di sorveglianza, e la donna come semplice figurante, destinata a rivestire ruoli secondari o marginali.
Gli ultimi anni e la morte
“Devo Morire io perché San Patrignano Viva”.
Dopo gli scandali che lo videro coinvolto in prima persona, Vincenzo Muccioli decise di allontanarsi dalla comunità che, probabilmente, amava più di se stesso. La morte, sopraggiunta nel settembre del 1995, nel racconto degli amici e dei familiari viene attribuita al forte dolore psicologico causato dagli eventi. Un male d’animo legato ai tradimenti dei suoi fidati compagni di viaggio ed ai processi.
In realtà, ignote rimangono le cause. Secondo alcuni in comunità avrebbe contratto il virus dell’HIV, e questo spiegherebbe il calo di peso degli ultimi anni. Sulla base di questi ragionamenti, altri speculano su una possibile omosessualità. Entrambe le ipotesi sono state categoricamente smentite dalla famiglia.
Alla morte di Muccioli, i finanziatori scelsero il figlio Andrea come successore, rimasto alla guida della comunità fino al 2011.
Perché è bene guardare SanPa
Sanpa è un fulmine a ciel sereno per lo spettatore ignaro delle vicende. Un racconto spiazzante davanti al quale, volenti o nolenti, si è posti nella condizione di formulare – o di formarsi – un giudizio su fatti avvenuti in un tempo remoto, andato, di cui forse non si conoscono tutti i dettagli o si fatica a ricordare gli eventi.
Un documentario straordinariamente efficace, intenso e ben orchestrato, che non lascia spazio a momenti di noia e porta con sé la tentazione di guardalo tutto d’un fiato. Anche più di una volta. Vien da sé che gli approfondimenti postumi sono più complicati da gestire per la difficoltà oggettiva di recuperare fonti attendibili. Ciononostante è un significativo spiraglio che alimenta la curiosità di conoscere fatti e persone dimenticate, di cui però si trovano riferimenti in giro per le strade di alcuni comuni, o ai Giardini di Milano e Cesena, intitolati alla memoria di Vincenzo Muccioli.
La Comunità di San Patrignano.
Oggi San Patrignano non fa più capo alla famiglia Muccioli.
Come può leggersi dalle pagine istituzionali la comunità:
«è una “Organizzazione Non Governativa” (NGO) riconosciuta ed accreditata presso le Nazioni Unite con lo status di “consulente speciale presso il Consiglio Economico e Sociale dell’Onu”.
I fondi necessari al mantenimento dei ragazzi e delle strutture derivano, in parte, dalle attività e dai beni e servizi prodotti, secondo il principio dell’autogestione, e, per il fabbisogno restante, da donazioni e contributi di privati.»
È presente inoltre un shop online dove è possibile acquistare i beni realizzati dai ragazzi in cerca di una seconda opportunità e alle cure dei quali, per statuto, sono destinati parte dei proventi.
Salvatore D’Ambrosio