L’emergenza sanitaria che ha colpito il nostro Paese sta mettendo a dura la prova l’esistenza e la resistenza di alcune categorie di lavoratori, completamente dimenticate dai provvedimenti del Governo. Ne abbiamo parlato in qualche articolo precedente e, nelle ultime settimane, si è provato ad accendere i riflettori a livello nazionale sulla questione con comunicati, appelli in tv, a cui finora però non è seguito nulla di concreto.
L’impossibilità materiale di restare a casa in maniera dignitosa per alcuni è un dramma nel dramma. Non si può immaginare che con una pandemia globale in atto qualcuno non abbia i mezzi sufficienti per provvedere alle proprie necessità (di singolo o familiari). Nessuno dovrebbe essere lasciato indietro o solo. In situazioni di crisi lo Stato dovrebbe fungere da garante di ultima istanza per i bisogni dei suoi cittadini.
Purtroppo sappiamo bene che così non è stato. A queste persone invisibili agli occhi del legislatore spesso ci hanno pensato i privati, le associazioni e in qualche caso le istituzioni locali con piccole donazioni ed iniziative di raccolta fondi e generi alimentari.
Aiutare chi necessita di aiuto è un obbligo più che un dovere.
“Lost in desert”, l’iniziativa a sostegno dei lavoratori dello spettacolo
“Lost in the Desert” è il titolo del brano disponibile da oggi su tutti gli instore e piattaforme digitali i cui proventi saranno devoluti al fondo COVID-19 MUSIC RELIEF a sostegno dei lavoratori dello spettacolo. Un piccolo contributo da chi usufruisce in maniera diretta del lavoro altrui. L’importanza di sentirsi vicini, soprattutto in un momento difficile come quello che stiamo vivendo.
L’iniziativa è promossa da un collettivo di artisti – di cui fanno parte Rodrigo D’Erasmo, Daniele Silvestri, Rancore, Joan as a Police Woman, Mace, Venerus, Enrico Gabrielli, Fabio Rondanini, Antonio Filippelli, Daniele Tortora, Gabriele Lazzarotti e Alain Johannes – che hanno deciso di dar voce a compagni di viaggio e colleghi di lavoro meno tutelati. I tecnici e le maestranze che lavorano dietro le quinte sono infatti quei soggetti di cui si sa poco o niente ma che consentono al mondo della musica di andare avanti. Insomma, se non ci fossero bisognerebbe inventarli! Dal momento che sono parte fondamentale del meccanismo non possiamo fingere che non esistano.
Il messaggio di Daniele Silvestri
«Avete presente quando, alla fine di uno spettacolo, di un concerto, di un’esibizione di qualsiasi genere il protagonista principale chiede “un applauso ai tecnici!”, magari aggiungendo qualcosa tipo “senza di loro, nulla di questo sarebbe possibile”. Avete presente?
Ecco. È vero. È sempre vero. Anche quando sembra vagamente retorico, o ipocrita in realtà è proprio vero e basta. Quello che però forse non sapete è che quella categoria – quella dei tecnici, intendo – è una delle meno protette in assoluto, anche all’interno del già debolissimo mondo dei lavoratori “intermittenti” dello spettacolo.
Non intendo qui aprire l’infinito discorso della legislazione italiana in materia, anche se non c’è dubbio che questo paese dovrà sbrigarsi a recuperare il terreno perduto. Ora la battaglia che dobbiamo combattere – tutti – è un’altra. Ben più urgente. Ben più concreta. E c’è un’enorme quantità di persone, di lavoratori più o meno precari, più o meno in regola, che rischiano di non uscire più dal baratro in cui stanno entrando.
E allora torno a parlare di loro, dei tecnici. Perché per noi non sono una categoria qualsiasi. Non sono numeri. Sono volti e nomi di fratelli, che da sempre dedicano – e vi dedicano – tante ore-energie-sudore-studio per permettere a qualcun altro di raccontare storie, suonare, ballare, disegnare mondi, regalare gioie e stupori, sogni e magie, bugie e verità.
Ecco molti, moltissimi di questi fratelli, ora non hanno più niente a cui aggrapparsi. Alcuni sono semplicemente disperati. Rimasti privi di lavoro e privi di tutele, sentono di non esistere. È arrivato il momento di restituire. È il momento di dirgli che era importante quello che facevano e che prima o poi rifaranno, e che adesso che non possono farlo non sono stati dimenticati, messi da parte, abbandonati.
Ed è giusto che i primi a pensarci siano i più fortunati, quelli che hanno potuto godere di entrate sicure e più o meno consistenti, di qualche forma di popolarità, quelli che anche da casa riescono a combinare qualcosa, a farsi ascoltare da qualcuno. Quelli come me. E come gli amici e colleghi con cui abbiamo deciso di usare questa fortuna, questo privilegio, per dare voce a chi non ce l’ha, a chi praticamente non esiste. Condividere è come vivere, di più.»
Daniele Silvestri
Lost in Desert – Testo
[JOAN AS A POLICE WOMAN]
You didn’t think you had to worry ‘bout it
but you worry ‘bout it anyway
You could just make a call
Call me anytime baby
You didn’t have to worry ‘bout it
to grand jury ‘bout it
Now lemme take the worry off you today
Yeah I’ll sing it baby
Ooh our lullaby
The melody is turning me up
The melody is turning me up
Yeah you can call me craay
I call it staying alive
‘cuz today is the day that everytihng could change
Hey
I’m lost in the
in the desert
Calling your name
[DANIELE SILVESTRI]
Tecnicamente
Restare vivo serve a poco o niente
Se sono privo di un’idea importante
Da condividere con chi si sente
Come me
E poi
Condividere
È come vivere
Di più
[RANCORE]
È uno scioglilingua che non scioglierò
Quante lingue mastichi? Ma io no
ma sti cazzi tanto ti risponderò
quando sono certo
che farò ritorno non lo so che senso hanno i viaggi
Fossi nel deserto
che ci vado a fare se non credo un po’ ai miraggi
quante volte mi sento OK
quante no?
Viceversa oggi sto KO
Questa musica è sferica
vola nell’aria
tra l’emozione e la pratica
Le opinioni la rendono scenica
Come la matematica
Ed un cielo che nevica
leviga
la tua roccia lavica
scarica
la tua forza di gravità
con il corpo fermo/ basterà un quaderno
che la testa naviga
naviga
Questa vita è come una radio
e che musica capita
non so
io registro dentro un armadio
nuovi scheletri, nuovo habitat
metterò radici anche dove il vento le sradica
poi ti chiamerò
se il deserto è una terra arida
tu sei tutto quello che ho
Salvatore D’Ambrosio