Quando un solo contagio basta a cancellare tutti gli eventi

È un titolo provocatorio, ma riflette la realtà dei fatti: gli spettacoli vengono di fatto cancellati nel nuovo DPCM, nonostante i numeri parlino di un solo contagio verificato.

L’elaborazione grafica è più eloquente di qualsivoglia commento, ed è uno studio condotto dall’AGI, Agenzia Generale Italiana dello Spettacolo, per gli spettacoli dal vivo tenuti in Italia dal 15 giugno al 3 ottobre. Incrociando i dati raccolti con quelli presenti sull’app Immuni e le segnalazioni pervenute alle ASL, il consorzio di categoria prova in modo inconfutabile come gli eventi tra lirica, prosa, danza e concerti siano senza ombra di dubbi sicuri per gli spettatori.

Eppure, sono puntualmente le prime istanze ad essere bistrattate dalle norme in materia di contenimento sanitario del Coronavirus.

 

 

Spettacoli – Un S.O.S. che dura da otto mesi

 

Ben prima del lockdown, che lo scorso marzo ha portato alla chiusura della nazione, con ripercussioni in tutti i settori della cultura (e non solo), avevamo cercato di riflettere sulla gravità dello scenario che da lì a poco si sarebbe palesato, con queste parole:

La musica è sull’orlo dell’apocalisse, perché in regioni nettamente più capaci di creare indotto economico solido sta facendo i conti con oggettive difficoltà. In contesti geografici totalmente fondati sul precariato, se si spegne tutto vivremo un agghiacciante crepuscolo della cultura, un dramma fugace che si risolverà nella notte fonda.

 

Dopo settemilaquattrocento concerti annullati in primavera, le aperture della stagione calda, accolte come al solito con troppo zelo da alcuni organizzatori, hanno fatto ripartire con grande attenzione e coscienza sociale tutta quella porzione di manifestazioni che noi amiamo.

I concerti si sono mostrati come una grande dimostrazione di responsabilità civile, con posti a sedere, distanziamenti, formazioni on-stage ridotte per meglio ammortizzare i cachet più bassi, maestranze che potevano finalmente riprendere a lavorare dopo mesi passati sul divano tra videochiamate e concerti in streaming.

I numeri (ripeto: un solo contagio riconducibile agli spettacoli) certificano la grande attenzione posta da tutto l’ambiente (dai promoter alle istituzioni, fino ad arrivare al chitarrista col perimetro sul palco segnalato dal nastro adesivo) per non incappare in ulteriori stop. Molto rumore per nulla, o meglio: tanta fatica sprecata.

E di rumore se n’è prodotto a sufficienza, come il suono dei flight case (i bauli, per intenderci) che i frequentatori di backstage riconoscono come segnale uditivo molto familiare durante gli spettacoli. Giusto un paio di settimane fa, Piazza Duomo a Milano è diventata il palcoscenico della più recente protesta finalizzata a sensibilizzare l’opinione collettiva (e le istituzioni) riguardo i reali problemi dei tecnici e dei lavoratori nel mondo dello spettacolo.

Il risultato? Attività di ristorazione chiuse dalle 18, coprifuoco che scatta dalle 23 in poi.

Esprimiamo la nostra contrarietà rispetto alla ipotesi prevista nel Dpcm in merito alla sospensione delle attività dei teatri, dei cinema e dei luoghi di spettacolo. Una nuova chiusura delle attività del settore comporterebbe una drammatica ricaduta sulle decine di migliaia di lavoratori al limite del sostentamento a causa del crollo del reddito. I luoghi di spettacolo si sono rivelati tra i più sicuri spazi di aggregazione sociale. La misura prevista sia ingiustamente penalizzante rispetto al nostro settore.

Parole di Carlo Fontana, presidente dell’AGIS, in una lettera indirizzata al Premier Conte ed al ministro Franceschini.

Sicuramente alla nostra classe politica non mancherà la competenza linguistica per comprendere tali parole, riservo qualche dubbio più consistente riguardo la competenza socio-culturale di comprendere cosa vanno ad implicare le restrizioni che da mesi il nostro Governo continua ad imporre con troppa leggerezza ed arbitrarietà. Lo stesso governo che in otto mesi, in duecentoquaranta e passa giorni non ha speso una parola di decreto su una realtà come le scuole di danza depauperandole, di fatto, della loro reale esistenza.

L’arte della danza, naturalmente, è solo un esempio, ma ha pur sempre il suo peso specifico e rispecchia la realtà che si palesa: nei momenti di crisi una nazione mostra davvero di che pasta è fatta. L’Italia, che all’estero potrà anche apparire come Paese della cultura e di cultura, sta facendo di tutto per cancellarla costringendo al lastrico operatori commerciali e lavoratori di settore, tra il sornione menefreghismo dei molti e la spasmodica preoccupazione dei pochi.

La notte fonda è ormai prossima.

Giornalista | Creativo | Direttore di Scè dal 2018. Collaboro con diverse testate e mi occupo di ufficio stampa e comunicazione digitale. Unico denominatore? La musica.

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